«

»

apr 08

Fruit Bats – The Ruminant Band

The ruminant band

Che la Sub Pop sia una delle etichette più fighe ed influenti nel mondo musicale è una affermazione di una ovvietà macroscopica. La capacità di scoprire e lanciare gruppi assolutamente sconosciuti ma dalle doti notevoli è sempre stata una delle prerogative della casa di Seattle, sin dalla sua fondazione: già da allora si capiva come l’intuito di anticipare i tempi, di essere precursori era già nel DNA di una label capace di dare spazio a formazioni come Mudhoney, Soundgarden, Nirvana e tutta quella cricca dello Stato di Washington che fu capace di farci sognare per una breve ma intensa stagione, conclusa forse anticipatamente rispetto alle possibilità, ma ancora impressa nella memoria di tutti, cultori musicali e non. Non si guarda mai indietro, non lo fece Gianni Bugno quando rivinse dopo troppo tempo una tappa al Giro nel 1994 a Loreto Aprutino, non lo fecero nemmeno quelli della Sub Pop quando da una casa sul Lago Washington in una sera di inizio aprile dello stesso anno iniziò a spirare forte tramontana su tutta Seattle e l’intero mondo musicale.
La svolta ci mise un po’ ad arrivare, ma è da un po’ di tempo ormai che gli interessi della Sub Pop si stanno dirigendo verso altri territori, lontani dalle asprezza del grunge e forse più intimistici e propriamente americani. Non che un’occhio di riguardo non sia sempre dedicato al territorio più casinista, ma l’attenzione si progressivamente concentrata sulle radici folk, sul country. Se volete qualche esempio basta citare il caso lampante di Iron and Wine, dei Fleet Foxes, in una certa maniera anche di Shins e Ruby Suns. E perché no, anche dei Fruit Bats.
One, Two, Three. Dopo l’ottimo Mouthfulls (2003 e When You Love Somebody resta uno dei miei pezzi preferiti di sempre) e Spelled in Bones (2005), il terzo album di Eric D. Johnson (voce), Graeme Gibson (batteria), Chris Sherman (basso), Ron Lewis (factotum e multistrumentista) e Sam Wagster (chitarra), si chiama The Ruminant Band, e forse è la definizione più laconica di ciò che ho cercato malamente di spiegare prima. Si rumina immediatamente con Primitive Man, dolci accordi e suono pulito che trae spunto dalla tradizionale verde campagna americana. La seconda traccia, che dà anche il titolo all’album riesce ad esaltare la voce cristallina di Eric, incastonandola come una gemma nel folk statunitense contemporaneo; Tegucigalpa sembra spostare l’attenzione verso sud, dove il calore sembra più vicino e l’intro ci dà l’impressione di essere rimasti nei fiammanti ’70 grazie anche alla chitarra di Sam. Beautiful Morning Light è un’assonnata alba che fatica a salire su nel cielo terso dopo la pioggia notturna completamente affidata all’introspezione accorata di Eric, novello Dylan per l’occasione. Devono molto al poeta menestrello i Fruit Bats, così come dimostra The Hobo Girl, ballata da saloon texano veramente notevole. I rimandi alla tradizione musicale si intensificano con Being On Your Own, dove un classico ed azzeccatissimo avvio lennoniano (non si può che ciondolare la testa da una parte alla’altra sentendola) si stempera nel ritornello difficile da non fischiettare dopo un paio di ascolti. Forse il pezzo migliore. My Unusual Friend deve molto alla verve di Sam anche se la lunghezza del pezzo tende ad appesantire un po’ l’ascolto.
La parte finale del disco segna un po’ il passo: Singing Joy To The World, altro pezzo affidato completamente alle mani di Eric, segue il percorso solista di Beautiful Morning Light con tutto il talento del nostro per le tematiche amorose. The Blessed Breeze sarebbe l’ideale per una serata di calda estate afosa, specie nel ritornello dove sembra che davvero l’aria si fa più respirabile, e l’apertura degli orizzonti sembra davvero farci scorgere le praterie tanto agognate del west al tramonto. Anche qui i Fruit Bats danno il meglio. L’arrangiamento complessivo risulta eccellente, in una operazione di revival che farebbe resuscitare perfino John Wayne: Feather Bed risulta ancora una volta debitrice del genio dagli occhialini tondi, mentre la finale Flamingo dà la buonanotte con le mani sul pianoforte come si deve ad ogni ospite che abbia passato un paio di orette interessanti in un saloon di Austin, TX.
L’impressione finale è proprio questa: una assolata giornata di lavoro, la stanchezza che ti pervade e che ti spinge per un po’ a rinfrescarti la mente e soprattutto l’ugola nel bar più vicino. Si ascolta, si beve, si chiacchiera, ci si diverte un po’ ma poi si esce salutando educatamente tutti. Non senza aver pagato prima il conto.

1 ping

  1. Fruit Bats: ad agosto esce Tripper » musicZoom

    [...] il 2 agosto, così come a breve saranno annunciate le date di pubblicazione internazionali. Per la band americana si tratta del quinto album in 10 anni di carriera. Secondo le parole del gruppo si tratta di [...]

Rispondi a Fruit Bats: ad agosto esce Tripper » musicZoom Annulla risposta

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato!

Puoi usare i seguenti tag HTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>