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apr 08

Crimen – Lies EP

Lies EP

Ruvido. Come il sottobosco suburbano di Roma, fatto di lamiere ed acciaio arruginito, ferraglia che stride al tuo passaggio. Do something strange (and you’ll be a conceptual artist) è il benvenuto che i Crimen danno nel loro nuovo lavoro. Si chiama Lies EP e siamo andati a recuperarlo una sera di mezza estate, quando Simone Greco (basso e voce), Fabio Prati (batteria) e Patrizio Strippoli (chitarra) si sono esibiti a Villa Gordiani alla festa di Sinistra, Ecologia e Libertà (che con mia grande sorpresa ho scoperto poter tranquillamente abbreviare in SEL). Festa a cui sono arrivato dopo varie peripezie, anche perché dall’altra parte della strada c’era un’altra festa, quella dell’Unità, e non sapevo quale era quella giusta. Su quest’ultima però palco si divertivano a ricordare i bei tempi andati con misere imitazioni di Renato 0. Per questo Lula non vince quasi mai.
Su questo wild side invece dopo l’esibizione di L’Elide abbiamo un potente assaggio del nuovo lavoro dei Crimen. Un’autoproduzione di cinque traccie realizzata grazie alla collaborazione con Kramer (produttore di Low, Galaxie 500, Daniel Johnston etc…, ma anche bassista di Butthole Surfers e GG Allin!) che prosegue con P.P. not  enough: alternative rock d’alto bordo, dalla voce sembra un pezzo degli At The  Drive-In, inframezzata da stacchi post punk in cui il basso di Simone pulsa con giusta potenza. Alla furia i Crimen sanno associare anche una indubbia vena poetica: Cold Winter Song si sposta su un versante post rock, seguendo le orme sulla neve lasciate dai Mogwai. Atmosfere nordiche e voglia di un bel camino fumante ed una coperta  rossa a quadrettoni. Revolution of the black tulip sembra unire queste due anime dei Crimen, quella nordica e quella rumorista: note languide si associano sonnolenti, prima che noise e riverberi esplodano con il giusto tempismo. Sembra di sentire i Sonic Youth degli inizi del millennio, quando Jim O’Rourke gironzolava sul palco velando con un ombra romantica le distorsioni del gruppo di New York. A chiudere il disco ci pensano gli 11 minuti di 40.000 lies, mantra lentissimo che esplode a metà portandosi dietro tute le inquietudini di un’estate mai cominciata o di un inverno mai finito.
I Crimen abitano qui. In un parco innevato, circondati da un lungo filare di alberi spogli, da cui ogni tanto risìescono a scappare con una furia inaspettata ed urli  lancinanti. Non essendo un pasdaran del post rock, preferisco i momenti di fuga e di liberazione. Perché solo in questa maniera si riesce a rompere la gabbia arruginita e correre via, lasciandoci alle spalle tutto il grigiore morbido del nostro presente.

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