Il post punk abrasivo dei Wolf Parade ritorna con Expo 86, nuovo album della band canadese. Atmosfere più cupe e tenebrose, testimoniate dal singolo di apertura, Cloud Shadow on the mountain, in cui Dan Boeckner sembra aver ingioato un tremolo nella parte finale del pezzo. La new wave si avvicina a chiedere un passaggio e lo ottiene con Palm Road in cui le fantasmagoriche tastiere di Spencer Krug assestano colpi decisivi. E’come se i numerosi Arcade Fire venissero sostituiti da cloni elettronici innamorati del krautrock. Il paragone con i concittadini è una costante per i Wolf Parade, ma in questo album forse lo smarcamento è decisivo: What Did My Lover Say?…è pregna di anni ottanta e la costruzione architettonica delle tastiere avvolge il pezzo in un soffice cellophane ritmato con cura da Arlen Thompson. E poi, attenzione, arrivano i coretti: se volete cantare ma non sapete l’inglese basta sussurrare oh ohh in Little Golden Age, sospinta dal passo pulsante di Dante De Caro verso l’intermezzo dorato in cui chitarre e synth si rincorrono orizzontalmente. I picchi li lasciamo per la splendida In The Direction of the Moon, in cui l’eco degli Human League arriva dal profondo oriente, rendendo il tutto più lucente e luminoso con un arrangiamento pressochè perfetto.
As best as I can. Danno il meglio i Wolf Parade, nonostante la Ghost Pressure che si abbate su di loro. Improvvisamente umanoidi dotati di sentimenti, Boeckner e compagni dimostrano notevole spirito di adattamento in questi nuovi paesaggi tecnologici. Sembrano lontani i tempi di Apologies to Queen Mary, anche se Pobody is Nerfect va a stuzzicare in quella direzione, riducenda al minimo il bianco e nero delle tastiere ed alzando i volumi delle sei corde. Altro siluro in in arrivo. Two Men in new tuxedos finalmente abbassa i tempi di percorrenza sotto i 4 minuti, ed è una boccata di ossigeno prima del trittico finale. Oh You, Old Thing rallenta per dare corpo e nuovo vigore alle tastiere, Yulia lascia da parte la wave per avvinghiarsi con un ben più sano romanticismo a là Interpol, mentre la finale Cave-o-Sapien accellera il battito in maniera eccellente, con un finale a sorpresa che non vi svelerò perché sono un cattivone. I’ve got you.
Gran bel disco per i Wolf Parade. Abbandonare la strada vecchia per la nuova non è mai facile, ma se viene fatto con la consapevolezza di avere qualcosa da dire e di possedere il necessario talento, gran parte del gioco è fatto. I ragazzi di Montreal raggiungono entrambi gli obiettivi, e con la loro esposizione universale del 1986 riescono a scrollarsi di dosso i paragoni scomodi che li hanno sempre accompagnati. Anche se loro, a differenza di altri, hanno sempre potuto vantarsi di aver firmato per la Sub Pop. E, come sempre, scusate se è poco.
Commenti Recenti