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gen 17

Toro y Moi – Anything in return

a cura di Christian Panzano

E ad un certo punto il piccolo Chaz tirò fuori il muso e tutti lo videro saltellare di gioia!
Potrebbe essere questo l’incipit di una favola bellissima che narra di un personaggio, uno scoiattolo abituato a rovistare tra le minutaglie della cantina di casa, nei sotterranei con  lume a petrolio, tra dischi rabberciati a metà tra anni settanta e ottanta, innamorato di un Don Henley mantecato con un po’ di Ohio Players e Human League e irresistibilmente voglioso di mostrare la propria arte al mondo intero. Poi il piccolo roditore Chaz tira fuori il becco e c’è qualcuno fuori, in fondo alla strada che ne ammira i gioielli, diciamo così, le sue perle lucide e i colori, amaranto e avorio che zampillano dalle tastierine mini qua e là sparigliate per l’aere e drum machine a ripetizione continua. Me lo voglio immaginare così il piccolo (si fa per dire) Chaz Bundick, in arte Toro Y Moi che dopo aver imparato a disegnare inizia a ricamare onde sonore che fuoriescono iridescenti dal suo cervello fumoso e a sintetizzare, comporre, frammentare e ancora sintetizzare, ristabilire, campionare. Ne esce fuori una serie di mix tapes e demos che costellano gli anni che vanno dal 2006 al 2009. Poi un aggancio niente male come quello di Ernest Greene aka Washed Out con conseguente ingresso nel pantheon chill wave di qualche anno fa. A suggellare le nozze col genere nasce il primo lotto (Causers of this) con la Carpack Records (bei tipi pure loro). Ormai è ufficiale che TYM faccia rumor, perché è un caso emblematico. Parliamoci chiaro, tipi del genere, dall’America sconfinata e pazzoide ne escono a decine l’anno e a guardarlo bene in faccia sembrerebbe uno di quelle macchiette dei film anni ottanta intenti a eliminare tutti i mali del mondo seduto in camera da letto con un joystick in mano e gli occhi afro – filippini inchiodati ad un video game. Sta di fatto che Chaz non è tipo che si defila di fronte al pericolo delle classificazioni e i recinti, a quanto pare, gli stanno stretti sicché tira fuori dal cilindro un EP (nel freaking out) con cui iniziamo a ragionare tutti quanti diversamente: ma allora il ragazzo non è uno sfigato da tugurio? Il ragazzo stupisce facendo balenare tremori funky, ma è ancora notte e padroneggiano le languide rocce degli antri al centro della terra e gli effetti vuoto/pieno a pigiare sui bassi. Solo con Underneath the pine il ragazzo ci dà dentro ed estrae 11 tracce con copertina annessa che rimandano a un mondo dove “pura e semplice sembrava la vita“. il funk adesso amoreggia con vellutate navigazioni ipnagogiche. Il piccolo roditore vagabonda parecchio ora e passa spesso dalle nostre parti invitandoci ogni volta a guardare un po’ fuori dalla penisola italica e a chiederci se in patria è tutto oro quel che luccica. Il vibe diventa più ricercato e Anything to return in uscita proprio in questi giorni è semplicemente una naturale conseguenza del suo passato, rimescolato in chiave più melodica con pattern e armonie più solide e meno sulfuree. Rientra in gioco il chill out dancey e bass music glitterato Harm in change che praticamente è come sentire la colonna sonora di “college” rifatta dai Thievery Corporation, ma c’è anche spazio per trip psichedelici (Cola e Say that) in cui Chaz offre il massimo  delle sue capacità. Certo non mancano i momenti ludici-cazzeristici (Never matter) che fanno da contorno a sprazzi di pura genialità sinth pop e groove abrasivi quasi lounge crociera (Day one, Touch) .
Mancherebbe il concretismo da field recordings ma sarebbe come ritornare nella nicchia per intenditori pur essendoci secondo me in futuro la possibilità di armonie free form o legate a contesti diversi da quelli già percorsi. Un piccolo capolavoro da evitare per chi non è abituato a sentire gli Oneohtrix point never presi a schiaffi da Sam Shakleton o da Andy Stott che a loro volta ricevono un gran calcio nel di dietro da un Lonnie Liston Smith o da un Maceo Parker. Ok non esageriamo, Chaz non è Quincy Jones, ma vero è che questo ragazzo di 26 anni nato a Columbia nel South Carolina potrebbe essere in futuro capace di tutto e di esprimersi a più tempi dispari in scenari paralleli. Tutto sta nel cesellare e raffinare il prodotto finale come bene hanno fatto lui e i cervelloni della Carpack. Due punti sul finale a favore di Chaz. Il primo è che grazie a Anything in return ci insegna come poter esprimere i passi di un viaggio attraverso non solo un senso estetico, superficiale dei moods elettronici, ma soprattutto tramite ciò che di concreto il viaggio porta con sé (cose, fatti, persone conosciute, passioni, quartieri, case, colori, rimpianti e gioie) e di ciò che ci lascia strappato nel tornare a casa. In questo Toro Y Moy ha dato vita a un concept album. In sostanza la solfa è: cari ragazzi, recuperate il passato, fate un viaggio nel futuro prossimo e tornate al presente per raccontare a tutti come è stato bello fare questo meraviglioso salto. Il secondo è inevitabilmente una constatazione di genere: bravo nel creare una miscela losca che non mescola bensì rapprende spasmi di più generazioni musicali sotto un tappeto sonoro e timbrico che è sicuramente mainstream, ma che quando vuole da esso sa tirarsi fuori. Certamente non mancano le sviate o appunto certe incursioni troppo smaccate, troppo soft, troppo wave, troppo pop…in un modo o in un altro, come andrà il futuro di Chaz noi non lo possiamo sapere, sappiamo solo che o in un modo o nell’altro l’importante per Chaz non è solo partecipare, ma vincere.

Label:Carpak
Anno: 2013

Tracklist

01 Harm in Change
02 Say That
03 So Many Details
04 Rose Quartz
05 Touch
06 Cola
07 Studies
08 High Living
09 Grown Up Calls
10 Cake
11 Day One
12 Never Matter
13 How’s It Wrong

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