Questa roba è clamorosa. Ultraestesa, senza tempo e spazio. Da lasciare senza parole. La prime note di apertura di To the other side sono affidate a You and Me and the sunshine e cigolano rumorosa ferraglia, trasudano una magica psichedelia cosmica. Essere il delay di qualcuno (Bemydelay) deve essere un compito appagante ma anche molto faticoso e Marcella Riccardi ha deciso di entrare nel ruolo indossando una tuta spaziale per penetrare a fondo negli spazi siderali. L’avevamo già vista qualche anno fa in giro con i Blake E/E/E, i più attenti la ricorderanno anche con Franklin Delano e Massimo Volume. Adesso decide di fare tutto da sola con l’aiuto della Boring Machines, di qualche campana tibetana, percussioni e wah wah. Il tutto sommerso da tonnellate di loops e delays in quantità tali da far impallidire gli Spacemen 3. Riemergendo dalle oscurità dell’universo per fare rotta verso il sole (Toward the sun), su un tragitto martellante ed insistente, echi di futuri mondi da esplorare. Aprendo squarci di blues cosmico, come dimostra l’ipnotica What it feels like to be drowned. Sfondando il muro del suono con una fantasmagorica Cobra Sun, che per struttura e sonorità sembrerebbe appartenere ad un’altra epoca: quella dei rimpianti Sonic Youth di Bad Moon Rising per esempio, con solo la voce di Kim Gordon e la chitarra di Thurston Moore. Paranoia pura ed asciutta, scarna ed ossessiva, che riporta alla primordialità intrinseca dell’uomo di fronte all’universo. Cioè, per dirla con Kubrick, di fronte a sè stesso: forse il folk cosmico di Mirror sembra darci questa indicazione, in una sorta di omaggio ad I’ll be your mirror. Sparate i Velvet Underground nello spazio ed avrete questo siderale risultato. Fluttuando senza gravità come in Tears and visions. Arrivando quasi a toccare i confini dell’universo e di se stessi per poi riuscire dall’altra parte. To come out to the other side. E quindi uscimmo a riveder le stelle.
giu 08
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