Vi avevo già parlato dell’incredibile Barone Von Datty e delle sue incantevoli Diavolerie.
Perché, quindi, non approfondire la conoscenza della più piacevole rivelazione di questo primo 2013 con una sana e liberatoria chiacchierata?
Tra caffè, amari, dischi e DVD, un’ora spesa nel migliore dei modi.
La prima cosa che viene logico chiederti è legata al titolo stesso del tuo lavoro, Diavolerie; è un titolo molto cinematografico, io credo, così come lo sono anche i titoli delle canzoni che lo compongono. Ecco, perché Diavolerie?
Stranamente, tutto nasce dall’idea dello strumento giocattolo, un mondo cui mi sono interessato subito dopo il termine dei miei trascorsi musicali “giovanili”, ispirato da musicisti come Pascal Comelade che io ritengo essere uno dei più grandi artisti in assoluto. All’epoca, lessi anche un articolo che si occupava proprio di strumenti giocattoli e verso ai quali ci si riferiva come “diavolerie” – per me una delle parole più affascinanti di sempre. Tra l’altro, è anche un riferimento all’aspetto ludico che ho voluto trasmettere nel disco … un bambino e le sue diavolerie … un bambino che non vuole crescere e che per non crescere decide di fare un disco con le sue diavolerie. Per quanto riguarda poi la canzone stessa Diavolerie, posso dirti che, insieme ad Aiutami, è la canzone più vecchia che ho scritto per questo lavoro, composta quasi interamente in studio, di getto. Ancor più “stranamente”, inoltre, il diavolo – cosa a cui verrebbe logico pensare – non c’entra nulla!
Prima, chiacchierando, mi hai detto che se non fossi vissuto in provincia, molto probabilmente non avresti mai scritto questo disco, questo Diavolerie. In che modo, ti chiedo, questo tipo di ambiente è riuscito a plasmare il Von Datty musicista?
Io sono un abitudinario. Se, ad esempio, al mattino dovessi svegliarmi più tardi delle sei, non potrei più andare a far colazione in quel determinato bar cui vado di solito. Se non posso far questo, allora, non posso più fumare una sigaretta in un altro determinato posto … sono abitudinario. Tipo Kant. Ecco, quindi, che Diavolerie si configura anche come un diario di queste mie paranoie. La provincia mi influenza perché se mi trovo a casa o fuori casa, avverto che tutto “cambia” dentro di me. Lo spazio che c’è fuori è talmente tanto uguale e monotono che è facile viaggiare con l’immaginazione. Incontri sempre le stesse persone, sempre nelle stesse situazioni. Da bambino, ho sempre amato inventare storie ed immaginare mondi pieni di supereroi. Un po’ salgariana, come cosa …
Un elemento che si ritrova anche nelle canzoni, tanto popolate da essere immaginari.
Esatto, tutto si ricollega alla provincia. Madame Falena e Madame Zanzara, ad esempio, sono due donne per caso. La prima è un po’ quella persona che per tutta la serata non fa altro che parlare di se, che ha bisogno dell’attenzione altrui per andare avanti, un po’ come la falena ha sempre bisogno della luce. La zanzara, invece, è legata al fatto che ogni uomo è una zanzara, ognuno di noi ha bisogno del sangue degli altri per poter vivere. Inoltre, ricorrere a questi personaggi mi ha anche permesso di slegarmi dall’io narrante, come se cercassi anche di disgregare me stesso. E poi il calamaro gigante! Mi ha fatto pensare ad Arancia Meccanica …
Di solito viene in mente Jules Verne …
Si, il calamaro gigante l’ho preso come simbolo di una degenerazione, di “male” … di disturbo. Perciò ecco che per questa via, l’ho ricollegato con il finale di Arancia Meccanica, che per me si sposa con l’idea del male che non muore mai. Così, il calamaro gigante non morirà mai … disturberà sempre il “Nautilus” che viaggia dentro di noi.
Proprio per questo, ho immaginato Diavolerie più come una narrazione messa in musica che come un lavoro discografico in senso letterale.
Avevo molta voglia di raccontare … una cosa che non mi è mai mancata .
E gli strumenti? Nel tuo disco si sento tanti strumenti “anomali”, dal kazoo all’ukulele … persino un theremin. Di tradizionale ed “emergente” non sembra esserci nulla, solo spiriti che ti aleggiano intorno.
È stata soprattutto necessità, un’esigenza. Un’esigenza espressiva, direi. Come lanciare una bottiglia con un messaggio scritto a mano in mezzo al mare. Ecco: cercare il suono adatto è stata un’esigenza. Volevo, per altro verso, che il mio lavoro suonasse “classico”, quasi retrò, e per questo ho fatto affidamento anche sulle atmosfere del Wurlitzer, che per me rappresenta lo strumento musicale per eccellenza. Volevo che fosse un disco “vero”, per me autentico.
C’è molta ricerca sonora …
Si, ho praticamente portato in studio tutto quello che avevo a casa. Ecco perché prima ho detto esigenza, perché quello avevo per esprimermi.
Prima ho detto che questo lavoro mi suonava “cinematografico”, per atmosfere. Un po’ alla Tim Burton, mi viene adesso da dire …
Potremmo parlarne tutta la notte di Tim Burton! Burton è praticamente l’inizio del mio tutto. Ricordo ancora quando uscirono Nightmare Before Christmas o Batman … quell’oscurità, quelle animazioni mi colpirono fin da subito e da allora, io penso, ho iniziato ad essere un personaggio preoccupante. Burton ha sempre raccontato storie di personaggi che partivano sconfitti ma che alla fine non erano belli in quanto sconfitti, ma affascinanti in quanto “deficienti”, nel senso che mancavano di qualcosa. Le mani per Edward, la gioia per Jack Skeleton, la verità in Big Fish … e poi le musiche di Danny Elfman. Il punto in più dell’intera produzione di Burton. Il più grande difetto di Sweeney Todd, ad esempio, è proprio l’assenza di Elfman. Il suo immaginario, poi, la sua purezza … mi hanno sempre accompagnato fino ad oggi e continueranno a farlo per i prossimi anni. Vincent, non dimentichiamolo, è il massimo dell’espressione Burtoniana ed è un cortometraggio, così come Diavolerie, che è un EP, è il massimo dell’espressione Von Datty.
Domanda personale: perché “Barone” Von Datty?
Qui si torna sul cinema e si va oltre. Tempo fa, lessi una cosa bellissima: uno dei massimi geni della musica jazz – genere che poi non conosco benissimo – Duke Ellington, prese il suo nome d’arte proprio da una auto attribuzione del titolo di “Duca”. Era l’inizio, per me, della riflessione che poi mi portò all’adozione di “Barone”. Perché si torna al cinema? Tre o quattro anni fa, durante un mio viaggio, ebbi l’occasione di vedere il trailer del film Antichrist, di Lars Von Trier – uno dei più importanti registi della storia del cinema e forse proprio Antichrist è il suo miglior film, uno di quelli che mi ha cambiato la vita. Trier, un po’ per vanità, un po’ per citazione, come tutti i suoi artisti preferiti, aggiunse un titolo nobiliare al suo nome. Ecco perché “Von” Trier … il baronato se l’è dato da solo. La nobiltà, la mia, è nell’animo.
E i baffi?
Prussiani e nobili anche loro. Non li ho più tagliati … saranno quasi tre o quattro anni che non li tolgo del tutto. Li ho accorciati, sfoltiti, acconciati alla Dalì, ma sono sempre qui.
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