a cura di Marco Valchera
Alcuni mesi fa, alla domanda su come Molly Hamilton, voce dei Widowspeak, avrebbe definito Almanac, la sua risposta fu: “Almanac è come muoversi all’interno di una vecchia e grande casa nei boschi con coperte stese su tutti i mobili, per poi toglierle all’improvviso”. Queste parole rappresentano perfettamente le atmosfere del secondo album in studio della band newyorkese: le classiche melodie folk e dream pop sono spezzate da chitarre elettriche, sebbene a troneggiare sia il timbro elegante e quasi distaccato della leader. La sua voce è l’elemento portante, tanto che è necessario ascoltare più volte questa loro nuova fatica per prestare, ogni volta, maggiore attenzione agli arrangiamenti, che si snocciolano in influenze che vanno dai film western anni 70 ai Cowboy Junkies per passare attraverso Neil Young e Hope Sandoval. Ognuna delle canzoni sembra appartenere ad una dimensione un po’ agreste, un po’ eterea, regalando la sensazione dolceamara della quiete dopo un temporale, o di una passeggiata fra campi. Non ci troviamo però di fronte a un album country né tantomeno traditional folk: i Widowspeak prediligono toni più scuri, che vanno da cavalcate di slide, a tinte noir e cupe, indie e melliflue, sotto l’ala del produttore Kevin McMahon (Real Estate, Titus Andronicus, Swans).
Le prime tracce sono quelle che preferisco: l’iniziale Perennials, non a caso dopo un’ouverture con il suono della pioggia, si apre ad una melodia dreamy rock (l’elettrica mi ricorda Anna Calvi) interpretata magistralmente da Molly, con una purezza e delicatezza di toni che si avvicina a quelli di Nina Persson dei The Cardigans. Dyed In The Wool è emblema perfetto della musica della band: atmosfere acide e voce che rievoca paesaggi lontani dalla mente dell’ascoltatore; The Dark Age, forse il brano più rockeggiante dell’intero album, risente dell’influenza di Margo Timmins e dei suoi Cowboy Junkies; in Thick As Thieves compare il banjo, in una sorta di walzer sognante. Dopo l’inframezzo strumentale della title-track, Ballad Of The Golden Hour è un surf country rock orecchiabile alla Sheryl Crow di C’mon C’mon, a braccetto con Neil Young. Devil Knows mostra qualche segno di stanchezza: segue la scia delle precedenti e non è facilmente distinguibile. Forse questo è l’unico grande problema dei Widowspeak: la loro musica, pur non seguendo dettami precisi, spesso, si ritrova a ricalcare se stessa in un solo mood, e, quindi, in alcuni momenti, sembra di ascoltare un’unica canzone lungo tutto Almanac. Sore Eyes è un gangsta pop, alla Nancy Sinatra; Locusts richiama alla mente quei film western di serie B, riportati al successo dall’ultimo Tarantino e le atmosfere morriconiane; Minnewaska, parco naturale con cascata di fronte a cui è stata scattata l’immagine di copertina, è un folk alla Fleetwood Mac. Nel finale ci salutano Spirit Is Willing, spezzata nel chorus dai riff dell’altra metà del gruppo, Robert Earl Thomas, e Storm King, eterea e sognante e con un pastiche di suoni in continua evoluzione.
Label: Captured Tracks
Anno: 2013
Tracklist
01 – Perennials
02 – Dyed in the Wool
03 – The Dark Age
04 – Thick as Thieves
05 – Almanac
06 – Ballad of the Golden Hour
07 – Devil Knows
08 – Sore Eyes
09 – Locusts
10 – Minnewaska
11 – Spirit is Willing
11 – Storm King
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