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feb 18

Klaus Schulze – Shadowland

Mai avrei pensato di trovarmi in una sorta di imbarazzo nell’effettuare una recensione; un po’ sapevo quello a cui sarei andato incontro, essendo già incappato in precedenza nei lavori di questo artista (ma forse senza prestare mai troppa attenzione), ma in questo caso non mi aspettavo tanta stilosa bizzarria. Anche perché solitamente, quando si dice “recensisco un album” uno si aspetta di trovarsi di fronte ad una dozzina di tracce, da circa tre o quattro minuti l’una. Ma nel caso di Shadowland, ultimo lavoro dell’instancabile Klaus Schulze ci troviamo di fronte a 3 tracce su un cd, e nella bonus version (stampata in 3000 copie) l’aggiunta di altre due; ovviamente si passa da una durata di 41 minuti per la prima traccia Shadowlights, e circa 17 per le altre due (In Between e Licht Und Schatten) del primo cd, e di 55 minuti per la prima traccia del bonus cd chiamata The Rhodes Violin, seguita dai circa 18 minuti di Tibetanian Loops. Ora non so voi, ma io personalmente non sono abituato a trovarmi di fronte ad opere di questo tipo, vere e proprie colonne sonore, sviluppi di suoni dilatati all’ennesima potenza. Più di dire che si tratta di un vero e proprio “album da ascolto”, non saprei che altro aggiungere: il veterano pioniere dell’elettronica tedesca ci regala un sapiente uso di strumenti classici ed inserti sintetici che creano atmosfere d’ambiente, un rincorrersi di tappeti magici che volano in un caldo crepuscolo. Non sono nemmeno solito utilizzare grandi giri di parole, o metafore ostentatamente poetiche (e spesso pure insignificanti) nelle mie recensioni, ma questa volta è necessario: perché il flusso sonoro che riesce a creare questo baluardo della musica è davvero troppo coinvolgente, o ti lasci catturare o lo schifi completamente, lo snobbi e lo insulti (e forse lo fai per una inconsapevole gelosia e comprensione del suo genio). È musica d’ambiente, un qualcosa davvero difficile da descrivere in maniera concreta per quanto mi riguarda, anche perché come ho già detto, non mi piace utilizzare neologismi insensati o arzigogolate costruzioni di frasi per dire qualcosa che alla fine è privo di significato: mi sembrerebbe quasi un insulto alla musica di Schulze (ma non solo alla sua), poiché anche se i suoi brani hanno questa struttura decisamente atipica, incredibilmente dilatata al punto da apparire quasi noiosa per la sua ripetitività, siamo di fronte a qualcosa che in realtà non è affatto vuoto o freddo, ma l’esatto contrario. È musica che viene davvero dall’anima, e che non è soggetta ad alcun tipo di regola dettata dal mercato, è davvero musica libera, comunque frutto di studi e ricerca; e la testimonianza è la grande ed incredibile produttività di quest’artista, che in oltre quarant’anni di carriera solista ha sfornato sicuramente più di una sessantina di album, oltre alle collaborazioni e ai progetti paralleli. Poche quindi le parole per descrivere questo ultimo lavoro in studio dell’immenso Schulze, del quale non mi sento di dare un giudizio che penda da una parte piuttosto che dall’altra, in quanto trattasi di opera talmente oltre, talmente al di là del concetto di musica al quale sono abituato, che ridefinisce completamente i confini di una mente già piuttosto aperta. E non a caso è davvero lunga la lista di artisti che è riconoscente a questo pioniere, che umilmente continua a 65 anni suonati a rimanere instancabile innovatore, umile compositore di atmosfere che rimarranno davvero impresse nell’eternità.

 

Anno: 2012

Etichetta: Synthetic Symphony

 

Tracklist:

Cd1

1) Shadowlight

2) In Between

3) Licht Und Schatten

 

Cd2

1) The Rhodes Violin

2) Tibetanian Loops

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