a cura di Marco Valchera
Dopo aver pubblicato un Ep nel 2008, Caroline Keating è pronta per il suo debutto musicale con l’album Silver Heart. L’artista canadese, originaria del Québec, rivela una sviluppata vena artistica, che si appoggia, per lo più, su composizioni al pianoforte e su un timbro vocale che hanno spinto la critica a definirla il punto di incontro tra i virtuosismi pianistici di Regina Spektor e l’eleganza formale della conterranea Feist. Trovandoci di fronte a due mostri sacri della musica al femminile degli ultimi anni, la Keating richiama, secondo me, più la prima che la seconda: le analogie con la pianista russa sono evidentissime, soprattutto nel creare arrangiamenti cerebrali e spezzati, con note che si riavvolgono su se stesse o che danno vita a canzoni nelle canzoni, tipico marchio di fabbrica della Spektor. Spingendoci più in là con le influenze, si potrebbe citare anche Tori Amos, solo quella degli esordi, con cui Caroline condivide il gusto della centralità del pianoforte, anche se non arriva a lambirne la forza espressiva ed emotiva. Prodotto da Drew Malamud (Metric, Stars, Grizzly Bear) Silver Heart vede la collaborazione di numerosi musicisti della scena indie attuale, che arricchiscono ancor di più, se possibile, la struttura delle composizioni, ma non oscurano l’estro della giovane: il batterista Jeremy Gara degli Arcade Fire, il violinista Sebastian Chow degli Islands, Chris Seligman degli Stars al corno francese.
L’album rivela, lungo le dieci tracce, una forte ispirazione, tanto che è difficile incontrare momenti meno interessanti rispetto ad altri, rivelando la grande vulnerabilità e sensibilità dell’artista: l’opener Silver Heart, sorretta da piano e violoncello incanta e segue la scia di un’altra giovane pianista olandese, Laura Jansen; in Ghosts sembra di ascoltare Kate Nash, quando si siede al pianoforte e rifà il verso alla Spektor, prima di aprirsi in un ritornello arioso e risentito, in perfetto stile Amos. They Say è una ballata sognante e malinconica che mi ricorda Hands di Jewel o l’ultima Sara Bareilles; in The Pier fanno la loro entrata chitarre elettriche e mellotron e la Keating mostra maggiore forza e determinatezza, e, pur rimanendo fedele ad una personalità ben definita, questa canzone non avrebbe sfigurato in uno dei capolavori degli anni Novanta di Sheryl Crow. Dopo la ballata romantica Lusty Dusty, Billy Joel, dedicata all’autore di New York State Of Mind (citata anche nel testo), è talmente spektoriana che sembra di ascoltare uno dei tantissimi demo inediti che la pianista di base newyorchese esegue dal vivo. I ritmi si allentano, di nuovo, con la dolce So Long, Solange, solo piano e violoncello, creando una delle migliori performance della Keating. One si apre come una melodia di Agnes Obel e prosegue con una serie di piccole pause e ripetizioni nelle liriche che ne impreziosiscono la struttura; Gatsby, ispirata dal protagonista del capolavoro di Fitzgerald, ricalca la struttura della precedente, con una strofa fluida e un chorus spezzato. La conclusiva Montreal, sentito omaggio alla propria città, mette in scena una serie di sentimenti contrastanti, chiudendo un album piacevole e variegato.
Silver Heart è una grande sorpresa: rivela al pubblico una giovane promessa del cantautorato alt-pop, nella quale confluiscono moltissime artiste, forse più note, ma, non per questo, più talentuose. Caroline Keating è, senza dubbio, un nome da tenere d’occhio nei prossimi anni.
Label: Glitterhouse Records
Anno: 2012
Tracklist
1. Silver Heart
2. Ghosts
3. They Say
4. The Pier
5. Lusty Dusty
6. Billy Joel
7. So Long, Solange
8. One
9. Gatsby
10. Montreal
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