a cura di Marco Valchera
A quattro anni di distanza dall’incredibile successo in madrepatria della romantica cover dei Kings Of Leon, Use Somebody, e dell’esordio Bells, ben 95 settimane consecutive nella chart olandese, Laura Jansen pubblica il suo secondo album, Elba. Ispirato dall’isola in cui Napoleone Bonaparte trascorse 300 giorni d’esilio, l’artista arricchisce di sfumature elettroniche le sue ballate malinconiche al pianoforte, vantando anche due featuring importanti: Tom Chaplin, leader della band inglese dei Keane, e il cantautore Ed Harcourt. Prodotto da Matt “Aqualung” Hales (Lianne La Havas, Jason Mraz), Elba mostra una certa maturità, e, seppure non tutte le tracce contenute siano allo stesso livello, è lodevole il tentativo di non voler riproporre melodie sulla falsariga del predecessore, alla ricerca di un riscontro certo. Divenuta una delle performer di punta dell’Hotel Café, locale losangelino vera e propria mecca dell’alt pop e dell’indie folk, l’album manifesta un maggiore spirito internazionale, con una più attenta cura dei suoni e della produzione, aspetto che, da un lato, ne appiattisce un po’ la libertà creativa. In effetti, Laura Jansen è difficilmente distinguibile da altre cantanti pop di maggiore estro, come Sara Bareilles o Ingrid Michaelson, di cui è palese l’influenza, ma riesce a creare buoni brani, non troppo pretenziosi, che si lasciano ascoltare con piacere, cercando di incupire alcune delle sue trame musicali con un buon risultato finale.
L’iniziale The Lighthouse vive di ombre e luci: di certo non spicca per originalità, ma è orecchiabile, radio frendly come i motivi della Bareilles e fa un uso della voce alla Michaelson. Sarebbe stato meglio evitare quei continui coretti che, purtroppo, ritroveremo in seguito, però il ritmo dettato dal pianoforte e dalla batteria si incolla in testa. Il singolo Queen Of Elba tenta nuove strade: sorretto da una linea di pianoforte che rimane nelle retrovie, c’é un largo uso di chitarre e una leggera spruzzata di elettronica, per una canzone non immediata, ma interessante, e “rischiosa” da scegliere come biglietto da visita di Elba. Golden unisce le atmosfere pianistiche di Bells ai sintetizzatori, richiamando alla memoria A Fine Frenzy, per la delicatezza dell’interpretazione. Arrivano, quindi, le due perle dell’album: A Call To Arms, con Ed Harcourt, e Little Things (You). La prima è una malinconica ballata al pianoforte, impreziosita nei chorus dall’artista londinese, sullo stile di Sarah McLachlan, mentre la seconda è una midtempo pop con un ritornello di ampio respiro retto da archi e vocalizzi liberatori. Same Heart, in coppia con Tom Chaplin, ricalca le melodie degli ultimi Keane: il piano scompare per una marcetta trascurabile. Light Hits The Room, fortunatamente, scorre via veloce: è il punto più basso di Elba, uno scontro tra le Sugababes e una Florence & The Machine annacquata, un’accozzaglia di suoni. Around The Sun non avrebbe sfigurato in Harmonium di Vanessa Carlton: la voce della Jansen è particolarmente incisiva, così come nella successiva Smalltown (Come Home), che velocizza un po’ il ritmo, senza, però, tradire la matrice pianistica della maggior parte dei brani. Infatti, Paper Boats è la classica ballata, con il pianoforte a farla da padrone, vicina a Erin McCarley e, di nuovo, alla Bareilles. La conclusiva Pretty Me, sull’incertezza del proprio aspetto fisico, segue la lezione di Regina Spektor al meglio, chiudendo un album non rivoluzionario ma estremamente piacevole.
Label: Universal Music
Anno: 2013
Tracklist
01 – The Lighthouse
02 – Queen Of Elba
03 – Golden
04 – A Call To Arms (Ft. Ed Harcourt)
05 – Little Things (You)
06 – Same Heart (Ft. Tom Chaplin)
07 – Light Hits The Room
08 – Around The Sun
09 – Smalltown (Come Home)
10 – Paper Boats
11 – Pretty Me
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