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apr 09

Fabrizio Testa – Mastice

a cura di Christian Panzano

Coprire gli spazi lasciati senza guinzaglio dal padrone è cosa assai ardua e tuttavia una schiera di geni hanno bucherellato i muri della storia nel tentativo di assegnare un suono al silenzio. Nel frangente ritrovato in cui la sperimentazione brama continuamente di nuova linfa, quale migliore occasione per ricoprire l’inenarrabile nelle dissonanze, chiamiamole così, di Mastice di Fabrizio Testa? Ricorderebbe quel vento, gambizzato nei sussulti, preso nell’attimo del torpore e cristallizzato come uno scatto farebbe con la luce o per la tonalità di un colore. È bello ricevere a casa Mastice e si rimane sorpresi perchè ricevo l’ottava delle 100 solo 100 copie stampate, perchè il formato è semplice, che più semplice di così si muore. Ma grazioso, sapete? Un sacchetto di stoffa bianco con gancetto blu che chiude. Dentro un cartoncino con su scritto l’essenziale e il disco, caro e vecchio compact. Insomma, carbonari si ma per necessità, non certamente per virtù. Mastice, sulle prime potrebbe ricordare i giochi naturalistici di Lisa Germano spinti verso estremi à la Ionesco, in realtà più lo ascolto e più viene in mente la schizofrenia degli Area, la loro artaudiana teatralità, il sapore amaro della sperimentazione, il free come strumento di comunicazione ed etica socio psico/patologica. Un richiamo alla confusione ce l’abbiamo: Adriano Spatola, che emerge con i suoi zeroglifici in Alce e martello. Allora dovremmo tirare in ballo il gruppo 63, il concretismo, che pure avrebbe senso in sede di recensione musicale, le avanguardie tutte da Cage in giù, o in su? ( sua la frase “bisogna iniziare a meditare sul vuoto”). Ma l’incipit, che strania e che avvicina, è solo un abbozzo, un falso dio minore pronto a sbucare tra i cespugli. Il testo di Senza orfanità tocca delle corde care, che pure un po’ con Spatola c’entrano. Chi se non il poeta sperimentatore di Sappiane, località istrianana contesa, poteva meglio sbozzare quello stato d’animo geograficamente bipolare, linguisticamente contradditorio? Ma questo è un mio pensiero, un soffritto con troppo aglio e quindi lasciamo scorrere il disco – io intanto mi vado a riascoltare Crac! degli Area, non si sa mai – e vien volentieri in mente di preparare i neuroni a un qualcosa di meravigliosamente oscuro, come dire tra il sacro e il profano, e poi come polaroid scivolate via sotto braccio, immagini sbiadite emergono dalla cala dei ricordi e un ibrido di una angoscia che fraseggia con la solitudine – quindi torno indietro e lascio perdere gli Area – e ci becco bene perchè Crudo trasforma in carne e sangue queste sensazioni, una refrattarietà pronta a ridere di se stessa. Un resoconto tangibile di una poetica nascosta tra gli scaffali dei megastore, con la polvere che scivola dal dorso di un libro e poi nell’aprirlo dal foglio di guardia. Marco Pierantoni è struggente blipperismo sconvolto da rievocazioni doom in sottopancia. Le terme è pura pazzia, si ma come avrebbe potuto esserlo il magma prosaico di un Lindo Ferretti, la limatura di vernice sottostante ai referti vocali di un Demetrio Stratos, una cuspide di polvere stellare lanciata dalle pagine de l’oblò di Spatola (e chi lo trova più?) o dei canti orifici di un Dino Campana. Astrazione, futurismo, vaghe frustrazioni surreali si uniscono ai ricordi, ad un amore perduto, ad un amico scomparso nel nulla. Il sostegno furtivo lo si trova in Cesenautico, un vero giro di drone omoritmico sospeso tra field recordings. Ma il terrore, l’effetto mastice – niente verrà dimenticato/ma cosa serve ricordare il passato/ma cosa serve starsene qui a ricordare i tempi belli/per quello che mi hai lasciato potrò continuare a vivere/perchè il mio cuore è viscoso come il mastice/adesso vattene/vattene – ci rende assolutamente liberi di gridare una rabbia che ha un’origine ritagliata, fatta a pezzi e rimaneggiata, una non origine insomma, una voglia di non essere per essere. La voce di Alessio Gastaldello infuria come un impeto antilirico, su quell’ultimo vattene – quasi frammenta il silenzio con un impeto materico – scritto di riffa e di raffa da Testa. Una faccenda da duri perdiana, un rischio troppo forte perdinci, un crescendo che si dissolve e lascia la mano di sale e l’indice pronto sul play, poi ancora l’indice con l’anulare a sostegno degli occhiali cadenti, nel solito gesto che spesso ripeto, quasi per abitudine, quasi un tic isterico. Questo collante adesivo appiccicato come miele sulla fronte mi spinge a pensare che sono ancora in un limbo tra sogno e realtà, in aria tra un marciapiede e l’ultimo aereo che ha appena preso il volo da Linate – un modo come un altro per lasciarsi andare/di cadere e cadere senza precipitare (A.Spatola in the position of things) – un incubo meraviglioso.

Anno:2012
Label: Tarzan records

Tracklist

1. Alce e martello
2. Senza orfanità
3. Crudo
4. Marco pierantoni
5. Le terme
6. Cesenautico
7. Mastice

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