a cura di Christian Panzano
Nella scorta di anni che separano generazioni intere, modus operandi e stili di vita, Andrea Gianessi coagula in embrione quello a cui qualsiasi artista aspirerebbe: la voglia di unire. Unire popoli, unire persone, talenti, musiche e note e nel panorama nostrano che prova ad affacciarsi di tanto in tanto su scenari altri non è poca cosa e nemmeno futile. Ne abbiamo parlato col diretto interessato in un godibilissimo scambio di mail
- Quale primavera per il mondo, al di là di semplici riforme politiche? Abbiamo un’economia basata sul debito, una pressione fortissima sui sistemi di protezione sociale. Tu in Prima delle sabbie e Precari a primavera, brani presenti in La via della seta, affronti con arguzia questo tema. Ce ne vuoi parlare?
Sono sicuramente temi impegnativi su cui bisognerebbe riflettere a lungo e non penso certo che dei brani musicali possano essere esaustivi come dei trattati o addirittura offrire soluzioni. Possono però proporre degli stimoli, delle sensazioni che in qualche modo si legano indissolubilmente alla propria vita profonda. In Prima delle sabbie per esempio l’immagine prevalente è quella di un’aridità materiale e morale, di un deserto che ricopre di polvere ogni cosa privandola del suo originario valore. Ed è così che emerge prepotente il desiderio di un riscatto, di un vento forte che spazzi via i dogmi e l’idiozia, di una pioggia lenitrice che lavi le incrostazioni della storia, delle ingiustizie o delle lotte senza senso. E in fondo ho scoperto da poco che persino sotto il deserto del Sahara si nascondono enormi bacini idrici di acqua antichissima. A volte osservando tutto quello che accade si ha comunque la percezione di un’assurdità generale. Quando senti parlare vanamente, e per almeno vent’anni, delle cosiddette irrinunciabili riforme della giustizia, della scuola, della sanità o del sistema elettorale, giusto per nominarne alcune, non puoi che sorriderne. È come trovarsi in un dipinto di Dalì, con gli orologi liquefatti appesi qua e là. Quando leggi che nei famosi mercati si vendono debiti o mutui spezzettati e ricomposti in prodotti finanziari, quando senti che il flusso di denaro che circola è molto superiore alle risorse realmente esistenti nel mondo, quando la logica prevalente è quella della crescita infinita in un mondo finito come puoi non sentirti imprigionato in un mondo surreale? Anche Precari a primavera parla di questo, direi…
- Nel tuo lavoro solista i testi sono quasi tutti scritti da te. Cosa ti serve per scrivere un brano, quale è la scintilla che fa scattare il tutto?
L’osservazione è sempre un buon punto di partenza: il mondo offre innumerevoli spunti e immagini, basta a volte accostarli senza preconcetti, senza la paura di dire cose sbagliate o senza senso. A volte lascio che i pensieri fluiscano liberi, non con una tesi da dimostrare o una idea da affermare. Se le idee e le sensazioni ci sono e sono vissute veramente le parole vengono fuori da sé e spesso sono quelle giuste. Poi in seguito un lavoro di lima e di sintesi serve sempre, anche perché si parla di musica, e la musica ha le sue regole intrinseche che la parola non può violare, se vuole essere efficace. Le scintille che cerchi però si trovano in ogni luogo, persona, libro, o disegno che incontri, ovunque insomma, basta tenere il fuoco acceso.
- Credi potrà mai esserci un’unione dei popoli? Spesso si assiste all’unione dei portafogli e molto di rado a una collaborazione per risolvere certe problematiche che riguardano l’umanità; cosa ne pensi?
L’unione degli esseri umani in senso profondo c’è sempre stata e ci sarà sempre. I popoli sono un concetto che già divide, come le razze. L’idea che il mondo sia spezzettato in nazioni, che la terra sia di proprietà di qualcuno, o che qualcuno detenga un vero potere, magari perchè ha molto denaro, fa parte di quella visione surreale di cui si parlava prima, assolutamente illogica e arrendevole. Purtroppo molti si arrendono volentieri all’assurdo. I problemi che riguardano l’umanità però sono molto facili da comprendere perchè per l’appunto ci coinvolgono tutti, e direi che si potrebbero riassumere con un concetto semplicissimo e sfuggente al tempo stesso: la ricerca della felicità. Ma qui poi si sconfinerebbe nella filosofia. Posso solo dire che ho trovato interessante l’introduzione da parte di alcuni economisti contemporanei del concetto di “Felicità interna lorda”, contrapposto al famigerato “Prodotto interno lordo”. Mi sembra già una buona intuizione per capire che la vita non è mirata solo alla produzione, che il nostro obiettivo potrebbe essere altro.
- L’oriente è stato introdotto, con i suoi suoni pieni di colori, nei pentagrammi occidentali fin dagli anni ’60. Da lì in poi è stato un crescendo di sperimentazione. Penso a Ravi Shankar, agli Aktuala, alla psichedelia o al jazz che dall’oriente hanno attinto a piene mani pena la ripetizione di certi stilemi. L’oriente ha salvato la musica secondo te?
Certo, in Italia progetti influenzati dalle musiche di altre culture come gli Aktuala, gli Area, o tutto il lavoro di ricerca di Mauro Pagani, fino agli ultimi dischi di De André, hanno portato una ventata di idee nuove. Penso che il lato affascinante della musica, e dell’arte in genere, sia proprio la possibilità continua della contaminazione, non è mai esistita per me una purezza vera e propria. I musicisti poi si incontrano, si divertono, suonano insieme, si scambiano idee, suggestioni, melodie, strumenti addirittura. Un personaggio come Ravi Shankar è riuscito a collaborare con i Beatles e con Philip Glass con la stessa naturalezza con cui eseguiva un raga classico indiano al sitar. I musicisti indiani di oggi lavorano con sequencer e campionatori e mescolano persino raga e tala tradizionali con armonie e strutture occidentali. Un grande cantante come Nusrat Fateh Alì Khan, anche se canta in stile qawwali, può tranquillamente essere considerato un idolo pop da quando ha collaborato con Peter Gabriel. L’oriente ha influenzato la nostra cultura tanto quanto noi influenziamo la loro. Il rock inglese ha cambiato il mondo come il blues afroamericano o l’elettronica tedesca. Nella musica insomma tutto si muove, tutto scorre, e per fortuna non ci si chiude dentro degli insulsi steccati, non qui, almeno si spera.
- Cosa c’è di differente tra i Nihil Project, progetto di neo-psichedelia di cui sei co-fondatore, e la via della seta, tuo album solista prodotto con la Reincanto?
La cosa più evidente è che il Nihil Project era un vero e proprio collettivo aperto. Sebbene fosse fondato e coordinato da me e da Antonello Cresti vi partecipavano liberamente musicisti di ogni sorta e di diverse parti del mondo. Si lavorava anche a distanza facendo circolare i cd con le registrazioni di ognuno che poi venivano lavorate, mixate, integrate e stravolte da noi o da altri. È stata un’esperienza di assoluta follia creativa e libertà che mi ha regalato davvero molto durante i quattro album che abbiamo inciso. Tra l’altro abbiamo avuto il piacere di collaborare in vari modi con personaggi del calibro di Claudio Rocchi, Arturo Stalteri, Mino di Martino, Brian Godding, Walter Maioli (degli Aktuala appunto), Steve Sylvester (DeathSS), Andrea Chimenti, Embryo e molti altri di cui non parlo solo per brevità, l’elenco sarebbe lungo. Per il mio album solista La Via della Seta ho scelto invece un approccio quasi opposto. L’idea del progetto e tutti i brani venivano da me. Poi con un gruppo ristretto di musicisti e amici abbiamo lavorato agli arrangiamenti prima live e poi sul disco. In tutto sull’album hanno suonato sette musicisti: oltre a me, Francesco Giorgi al violino e cori, Francesco Gerardi ai tabla, Antonello Bitella al flauto e ai cori, Domenico Candellori alle mille percussioni, Alessandro Zacheo alla fisarmonica e Maria Paola Balducci al violoncello. Un organico più concentrato che ci ha permesso però un grande controllo sulla sonorità e sulla direzione musicale del disco.
- So che sei anche un sound designer. Quanto è importante l’aspetto musicale in un’ambientazione teatrale?
Sì, mi occupo anche di sound design in ambito di post-produzione video e teatro. Devo dire che le esperienze teatrali sono sempre molto affascinanti per me, un po’ per quell’aura mistica che lo spazio del teatro in sé dona alla scena, un po’ perché i teatranti hanno una visione più complessa dello spettacolo che a volte i musicisti trascurano (spesso forzatamente). La scelta dei costumi, delle scenografie, delle entrate e delle uscite dal palco, ogni cosa assume un aspetto quasi rituale. La musica ovviamente in un contesto rituale ottiene un grandissimo effetto e, se utilizzata bene, condiziona molto la rappresentazione. Mi è capitato addirittura di fare un’istallazione sonora in surround per uno spettacolo che si svolgeva totalmente al buio, ideato dalla regista e attrice Stella Saladino: la privazione della vista produceva una sensazione molto forte che amplificava a dismisura l’effetto dei suoni e delle musiche.
- Secondo te oggi nella musica siamo in carenza di talenti, di fortuna o di soldi? Qual è il problema?
Se di problemi si vuol parlare non si finisce più! Mancano sicuramente i soldi, un po’ dovunque in ogni caso, quindi c’è una sorta di livellamento. Il talento è sempre stato merce rara e spesso è difficile riconoscerlo e coltivarlo, non è nemmeno scontato ammettere di non averlo, sarebbe già un passo avanti. Il problema in definitiva è la sincerità. Chi fa arte, musica o spettacolo ha la responsabilità delle sue azioni, ha il dovere di essere vero, e l’idea che spesso sento affermare a gran voce, ossia che il musicista debba essere riconosciuto come mestiere, può essere persino fuorviante. Per essere davvero un mestiere deve essere praticato con estremo impegno e dedizione totale senza indugio, altrimenti rimane un hobby, come è lecito che sia. A questo punto bisognerebbe chiedersi: quanto sei davvero intenzionato ad andare a fondo? O, detta in altro modo, vuoi davvero affondare?
- Cosa ti senti di approfondire in futuro, come cantautore, musicista, tecnico o semplicemente come artista?
Come autore sto proprio in questo periodo lavorando sul nuovo album, che, te lo dico in anteprima assoluta, sarà completamente diverso a livello musicale da La Via della Seta. Andremo ad esplorare timbri e strutture diverse reintroducendo innanzitutto i grandi assenti dal primo album: il basso e la batteria. Oltre al nuovo disco sto avviando alcuni altri progetti musicali paralleli, di cui uno anche a carattere teatrale, che spero porterò in giro già per la prossima stagione. Infine spero di incrementare un po’ il lavoro sulle colonne sonore per video e magari, non si sa mai, per il cinema, altra grande passione. Direi che come progetti possono bastare per il momento!
Ed è prorpio il caso di dirlo: in bocca al lupo a questo perspicace ragazzo.
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