a cura di Christian Panzano
Un folk sommesso, spesso lirico ma sincero. Una voce sorprendente anche nei momenti di minore intensità. Se fosse un film potrebbe intitolarsi il fantastico mondo di Rachel e non ci allontaneremmo dalla fiaba. Sermanni è nata a Carrbridge il 7 novembre 1991 da padre toscano emigrato giovanissimo nelle lontane terre di Scozia. Dopo qualche EP di prova, la giovane cantautrice riesce a pubblicare la sua opera prima uscita alla fine dell’anno scorso per la Middle of nowhere, dal titolo quanto mai intrigante Under mountains conquistandosi subito una buona fetta di critica. Ascoltando il disco ci si sente subito attratti dalla forza di ogni acuto e da un senso di calore e rispetto per la musica. Quando ho saputo che avrebbe suonato all’OCA (Officine creative Ansaldo) di Milano non me la sono fatta sfuggire. Prima di tutto le Officine sono spendide nella loro grandezza in ristrutturazione e nell’intimità ricavata dagli organizzatori. Questo per togliere ogni irragionevole dubbio sulla godibilità della serata. La proposta musicale della Sermanni è un incrocio tra i primi vagiti Mitchelliani – prendete ad archetipo Ladies of the canyon – e le note più sicure di una Eva Cassidy. Non mi sbilancerei più di tanto per il semplice motivo che in queste occasioni spesso si finisce nell’ovvietà. Sta di fatto che Sermanni ha un piglio tutto suo, palese anche a un sordo o a un cieco, poichè regge a meraviglia il palco e sembra quasi che la sua chitarra canti e la sua voce suoni impressionando chi ha pazienza e voglia di ascoltarla fino in fondo. Accorrono un centinaio o poco più di partecipanti, il numero giusto per occupare seggiole e spazi vuoti intorno, ma la scozzese non si fa prendere dall’imbarazzo e affronta il pubblico con sicuri approcci di note alte e sostenute, armonici qua e là precisi e dolcificati, piegandosi sullo strumento quasi volesse incoraggiarlo ad un canto più intenso e nitido. Tutto questo in un corpicino di neanche 22 anni è veramente tanto, forse troppo e quando a metà serata parte lo sfogo stupefacente di The fog – il brano più bello di Under mountains – quella genuinità e quel sorriso cosi fanciullesco sembrano scalzati da una serietà che stupisce – addirittura gli acuti raggiungono un punto di fumo quasi dark. Sul finale che trema di luci blu, i muri si vestono invece di un color ambra. La signorina decide di non disdegnare bis musicali, due aneddoti su Milano raccontati con un italiano stentato, improvvisazioni e dialoghi con gli astanti. Nel complesso ci si può ritenere più che soddisfatti. Espressione di un cantautorato che vuole mantenere un basso profilo, Rachel Sermanni è una profonda interprete delle sue origini e dei suoi anni.
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