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giu 05

Ásgeir Trausti – The Toe Rag Acoustic Sessions

a cura di Christian Panzano

Se dovessi passare per una giungla piena paradisee e colibrì, facilmente confonderei un suono con un altro, un semplice cinguettio. È normale, mi si passi questo verbo, livellare quando un pattern, uno stacco di batteria, come una voce prudente o un arpeggio di chitarra potrebbe apparire lo stesso polpettone di ieri. Oggi ascoltiamo Iver, Rice, Bird e si sa cosa si sta ascoltando. Magari si potrebbe obbiettare sul perchè o per come uno abbia raggiunto quel determinato grado di approssimazione, nel suo cervello prima e sul suo strumento poi, ma la sostanza rimane sempre quella: un appiattimento dei suoni, la weird è morta o forse non è mai esistita. E non è neanche una questione sessista, basti pensare a una Olof Arnalds o a una Lisa Hannigan o alla stessa Bjork – dio ce ne scampi e liberi dal mito – per sfatare ogni pregiudizio. È proprio che non la si fa più ad ascoltare un falsetto legato ad un accordo di sol maggiore arpeggiato. Ásgeir Trausti cade in questa falla del padiglione auricolare. Cade, ma come tutti quanti della combriccola di cui sopra si rialza indenne, semplicemente perchè nel pieno delle forze. Ascoltare per ricredersi Summer guest. Introspezione e cadenza, introspezione e impunità, candore. Un lapislazzuli da uscirne pazzo o ricoverato, vedere per ricredersi il video che riprende la take in studio di On that day. Lacrimevole e affidabile, come una farisaica pioggia autunnale, come le foglie di ottobre che cadono e non c’è verso di riattaccarle all’albero neanche col pensiero ottimista del più ortodosso dei kafkiani. The Toe Rag Acoustic Sessions: tre pezzi bastano per coronare un sogno? Asgeir l’islandese, l’isolano graziato dalla penna traduttrice di John Grant è un ragazzo che ha sbancato con un debutto da platino e oro – Dyrd i daudathogn l’anno passato – bis olimpionico in terra natia. Parliamo di musica, si ma di che parliamo? Della genuinità e/o novità? No di certo. Delle sperimentazioni lessicali e/o tecniche? Men che meno. Parliamo di una generazione di cantautori? Si parliamo di loro. Ma non si fa che parlare di loro, in lungo e in largo, da destra a sinistra, di sopra e di sotto. Ci sarà uno stravalido motivo. Si, un motivo c’è, ed è che non facciamo altro che cercare cantautori pure nel buco del nostro tugurio privato – Bugo ne fu valida prova in patria – ed è perchè in fondo abbiamo sempre necessità di sentirci dire cosa fare dagli altri, quegli altri reputati più bravi di noi, più dotti e fricchettoni. Quindi la colpa è di chi ascolta? Forse. L’isola  fa sicuramente bene al giovane Asgeir, che in futuro potrà meritarsi altri validi premi (extra) olimpionici, salvo preservare quella magra fetta di onestà che prima o poi vola via, come un colibrì d’inverno verso il sole messicano, e arpeggiare in lungo e in largo, da destra a sinistra, su e giù quel fichissimo e intimista accordo di sol maggiore per le prurigini adolescenziali come per gli anfratti di vita vissuta.

Tracklist

1. Going home
2. On that day
3. Summer guest

Label: One little indian
Anno : 2013

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