C’è un forte stato di tensione nel modo di fare musica dei National. Un nervosismo celato sotto pelle, dissimulato dalla dolcezza delle atmosfere evocate e dalla incredibile voce di Matt Barninger, vero punto di forza del gruppo. Fattori decisivi che spiegano il successo del gruppo di Cincinnati, Ohio, ma ormai di base nella Grande Mela. Fattori che si ripresentano inalterati anche all’interno della confezione di High Violet, quinta uscita per i National, pubblicato l’anno scorso per la 4AD. Per levarci subito il dente vi diciamo subito che se cercate un album migliore del precedente ed acclamatissimo Boxer, state fuori strada. Era molto difficile raggiungere le vette di Apartment Story e le sommità di Fake Empire. In High Violet c’è invece una evidente voglia di sommergersi, di sussurrare e mormorare come in Lemonworld, di scendere nelle profondità di Anyone’s Ghost, perfetto esempio dell’attuale mood di Barninger e soci: “to live underwater”, allontanarsi dai rifettori e dalle luci della ribalta che gli sono piovute addosso. Se anche mr. Obama nel suo lettore iPod conserva gelosamente i pezzi dei National vuol dire che il successo ha travolto ogni aspettativa. Per cui meno spazio all’indie, meno spazio al post punk, e briglia sciolta alle atmosfere sapientemente costruite per esaltare l’ugola di Matt. L’apertura dell’iniziale Terrible Love, lo struggimento di Little Faith, segnano lo spostamento verso un modo di fare cantautoriale e meno da gruppo rispetto agli album precedenti. Le paure del quotidiano si riverberano su Afraid of Everyone, ottimamente arrangiata con la chitarra a disegnare code tra gli spazi vuoti lasciati all’interno del pezzo. Si passa dal nero al viola elevato, e non è un caso se lo stesso violet sia off limits nei teatri. Le note sono desolatamente tristi e senza slancio. Caratteristiche di un album tipicamente autunnale. Per un gruppo tipicamente autunnale.
Ed appunto il sottoscritto ha purtroppo perso lo show dei National al Primavera di quest’anno per evidente conflitto di interessi con la stagione e, soprattutto, i Pere Ubu. Ma chi c’è stato mi ha detto che lo show è stato veramente eccellente. E molto affollato. Se mi dovessi immaginare le scene di maggiore esaltazione prendo tutto Boxer e ci aggiungo da High Violet giusto due barra tre pezzi: l’elettrizzante singolo Bloodbuzz Ohio, completo in ogni suo aspetto e teso come una corda di violino; la sofferta England, che dimostra come i National con un solo pezzo riescano a fare meglio di quanto PJ Harvey ha fatto con il suo ultimo album; e l’elegante e conclusiva Vanderlyle Crybaby Geeks, che dimostra l’avvenuta trasformazione. Ora National sono un rock band. Preparate gli stadi ed i palazzetti. E le campagne presidenziali. Il resto sono solo carezze affettuose e soffi nel vento in un triste e desolato tramonto autunnale.
giu 18
The National – High Violet
Tags: 4ad, boxer, high violet, indie rock, matt barninger, pere ubu, pj harvey, post punk, primavera sound, the national
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