A cura di EriBluff
Circolo Quarto Stato.
18 Maggio 2013.
Davanti a me dei novelli Ulisse partiti dalla loro Itaca, immersi in una meravigliosa Odissea
musicale e pronti a raccontarmi le loro surreali gesta.
1. Il vostro nome è “Nuju”, quattro lettere e un suono molto diretto il cui significato è ben
preciso. “Nuju” significa “nessuno” riprendendo il dialetto della bassa Calabria.
Come mai questa scelta?
Marco: Noi siamo dei viaggiatori. Anni fa abbiamo lasciato la nostra terra, la Calabria, chi per
studiare e chi per lavorare. Ci siamo sempre identificati col viaggio di Ulisse: chi viaggia come
Ulisse, quando è a Itaca vuole scappare via, quando è fuori da Itaca vuole rientrare.
Riconoscendoci fortemente in questo concetto, abbiamo deciso di chiamarci “Nessuno” in onore di
questo eroe epico, e riprendendo il dialetto della bassa Calabria, abbiamo scelto di chiamarci “Nuju”
in quanto suonava bene (nel dialetto dell’alta Calabria era “nuddu” e fonicamente non ci piaceva
molto). Insieme a questo ci sono altri significati, quello più importante è quello della collettività,
cioè “nuju” essendo nessuno, vuol dire che nessuno di noi è realmente nessuno, un po’ come
Pirandello in “Uno, nessuno e centomila”, tutti noi siamo uno, nessuno e centomila cose allo stesso
tempo.
Licius: “Nessuno” sarebbe inoltre l’antitesi dell’individualismo sul quale è basata la società attuale,
tutti quanti vogliono essere qualcuno, tutti vogliono andare in tv per farsi riconoscere. Viviamo in
un individualismo imperante. Questa valenza del nome “nessuno” è proprio per andare contro alla
voglia imperante di essere qualcuno a tutti i costi.
Fabrizio: Da un punto di vista musicale invece la scelta del nome significa il non avere bandiera e
genere, vogliamo fare tutto e niente, nessuna presunzione di sbandierare un movimento, un genere
musicale ben preciso, ma vogliamo fare tutto quello che ci viene in mente senza essere circoscritti a
un genere particolare.
2. Le copertine dei vostri tre dischi, se viste in sequenza, possono essere considerate come una
sorta di stop-motion. La copertina del primo disco infatti rappresenta un omino funambolo,
nel secondo lo stesso omino cade e dondola aggrappato al filo, mentre nel terzo si abbandona
lanciandosi nel vuoto. Che messaggio metaforico sta dietro a questa scelta?
Fabrizio: Ci fa molto piacere che tu l’abbia notato. Abbiamo voluto realizzare una trilogia musicale
e il quarto disco probabilmente potrebbe non c’entrare nulla con quello che è stato fatto finora. I tre
dischi sono dei concept line, ossia ognuno ha una tematica ben precisa.
Nel primo disco, dove c’è un funambolo che cammina in equilibrio, la tematica è la precarietà, nel
secondo, “Atto Secondo”, la tematica è la frenesia, qui l’omino perde l’equilibrio, si corre cercando
di starci dentro a tutti i costi, nel terzo disco, “Terzo Mondo”, mi è piaciuto come hai descritto
l’omino che “si abbandona”, è un messaggio infatti che si presta a diverse interpretazioni, la
tematica qui è l’indignazione. All’inizio del 2012 al telegiornale si impiccavano due o tre persone al
giorno, a un certo punto hanno smesso di dirlo, ma non credo che la gente abbia smesso di
impiccarsi. Indignazione è intesa anche come esasperazione che ti fa perdere la forza di restare
attaccato al filo.
Per ridere in passato ci siamo detti che questo omino potrebbe riapparire magicamente con un
palloncino che vola.
Marco: Noi siamo tutti dei trentenni che quando abbiamo iniziato a suonare insieme nel 2009
avevamo tante cose da dire, per questo abbiamo corso molto, abbiamo fatto tre dischi in tre anni.
Abbiamo voluto esprimere quello che viviamo tutti i giorni. Se tu vai a vedere gli anni 2010, 2011,
2012, la precarietà, la frenesia e l’indignazione sono un po’ quello che c’era e c’è intorno a noi nella
società e abbiamo cercato di raccontarlo non con tristezza o con eccessiva rabbia, ma con quella
sana ironia che ci contraddistingue.
3. Leggendo i vostri testi si scorge una forte ricercatezza. Quanto la letteratura è importante
e fonte d’ispirazione per la vostra musica?
Licius: Sicuramente i riferimenti letterari sono molto radicati nell’inconscio, quello che noi però
facciamo è di essere piuttosto presenti nel quotidiano.
Marco: Alcune volte nei nostri testi ci sono dei riferimenti non soltanto letterari, ma anche
cinematografici. Spesso ci definiamo comico-drammatici come i film di Monicelli, oppure “Brutti,
sporchi e cattivi” come i film di Ettore Scola, i film ci influenzano molto di più dei libri.
Il riferimento però più forte è quello della letteratura che, come ha detto Licius, viviamo
quotidianamente ogni giorno.
4. Nella canzone “In assenza di gravità” trattate il tema della fuga dei giovani da un paese
che sta diventando sempre più stagnante. Come vedete l’Italia attuale, sta diventando davvero
un 3° Mondo?
Fabrizio: Noi una prima fuga l’abbiamo già fatta, la fuga dalla Calabria. È vero che se uno vuole
realizzarsi, fare un percorso di studi, di formazione e poi trovare un lavoro nel settore inerente a
quello che ha studiato, spesso gli tocca spostarsi perché qui in Italia non c’è la possibilità di trovare
occupazione.
Marco: Noi abbiamo scelto di partire per studiare, di rimanere qualcuno l’ha scelto, qualcun altro è
stato costretto.
5. Ci sono dei cantautori particolari che hanno influenzato la nascita della vostra musica?
Marco: Quando abbiamo iniziato il nostro progetto musicale ci siamo detti che non avremmo mai
dato nessun riferimento musicale alla nostra musica, però un nome che abbiamo sempre fatto è
quello di Rino Gaetano per il discorso che lui non ha mai avuto un genere stabilito come cantautore,
non era come Guccini o De Andrè che sapevi quello che facevano, ma poteva cambiare in ogni
disco e ha cambiato quasi in ogni disco. La sua musica era impregnata di fervida ironia.
Licius: C’è da dire inoltre che ognuno di noi ascolta generi di musica molto diversi. Credo sia
questo il trucco per creare una buona band, in furgone non ascoltiamo mai musica perché altrimenti
finiremmo a tirarci i capelli tutti quanti.
6. Nella canzone “Disegnerò” è presente questa frase: “E più si cresce, mi rincresce peggio
per te se non credi alle mie favole”. Quanto è importante secondo voi riuscire a mantenere nel
quotidiano quella visione immaginaria, incantata e fiabesca che, appunto, più si cresce e più si
rischia di abbandonare?
Fabrizio: Siamo tutti dei ragazzi dentro, siamo tutti dei fanciulli e abbiamo l’animo giocoso.
Abbiamo un lavoro più o meno serio e delle grandi responsabilità, qualcuno di noi infatti è già papà,
e queste son tutte cose che ci hanno fatto crescere. Il progetto “Nuju”, al di là di una necessità
espressiva e artistica, è il contenitore dove ognuno ci mette del suo, è una dimensione che ci
permette di conservarci giovani. Io lavoro con gli adolescenti e mi rendo conto ogni giorno di
quanto sia importante non dimenticare di come siano le cose viste da piccoli, “noi siamo…”, come
disse Freud, mi pare, “…il fanciullo che è in noi”.
Il problema è che crescendo l’uomo viene risucchiato dalla quotidianità del sistema e si fa sempre
più fatica a meravigliarsi di ciò che ci sta attorno.
Marco: Credo che la chiave per mantenere viva questa meraviglia, sia la capacità di riuscire a
stupirsi per qualsiasi cosa e guardare la quotidianità con uno sguardo costantemente nuovo.
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