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giu 23

Natalie Maines – Mother

a cura di Marco Valchera

Negli ultimi sette anni Natalie Maines ha deciso di tenere un basso profilo: ritiratasi dal mondo della musica, ad eccezione di alcuni concerti nel 2010 in compagnia di Keith Urban e i The Eagles, non avevamo più notizie della leader di una delle band di maggiore successo negli Stati Uniti, le Dixie Chicks. Il nome di Natalie giunse alle orecchie anche di noi europei nel 2003, quando, durante un’intervista in Inghilterra, decise di sparare a zero sulla campagna militare in Iraq di George W. Bush, e, per tutta risposta, il trio, fino ad allora adulato dai fans, venne bandito da tutte le radio americane e, addirittura, la Maines fu minacciata di morte. L’ultima fatica delle Dixie Chicks risale al 2006, con il pluripremiato, vincitore di cinque Grammy, Taking The Long Way: da quel momento solo alcune sporadiche interviste in cui la trentottenne texana manifestava il suo desiderio di volersi separare dalla musica country e di immergersi maggiormente nel rock e nel r’n’b’. A coadiuvarla in questo esordio, Mother, troviamo Ben Harper insieme a tutti i suoi musicisti: l’album snocciola una serie di cover, per lo più rockeggianti, in cui l’artista può dare grandissima prova delle sue doti interpretative, fuori dal comune, riuscendo nell’intento di farci dimenticare, a volte, che molti dei brani non sono originali. Ma si ha la sensazione, come successo con l’ultima fatica di Lisa Marie Presley, prese chiaramente le dovute distanze, che si voglia giocare a tutti i costi sul sicuro: Harper non tenta mai di uscire dagli schemi o di sorprendere l’ascoltatore. Tutto è perfettamente dove dovrebbe essere, ma la voce della Maines sembra, in alcuni momenti, voler sfuggire da questo binario: Mother è un buon album, senza dubbio, ma manca di qualcosa, quel guizzo che si percepiva nelle ultime prove della sua band.
Without you, il primo brano, cover di Eddie Vedder, è un’ottima ballata rock, che richiama alla memoria la migliore Sheryl Crow, con la Maines che sembra soffermarsi su ogni parola composta dal leader dei Pearl Jam arricchendola di ruvidezza. Mother, cover dei Pink Floyd, tratta da The Wall, giocata sulle pedal steel, si avvicina ai toni delle Dixie Chicks, e la mano di Harper, quando appare l’organo, si sente: è una buona versione del classico di Roger Waters, resa come un open letter. Free Life, originariamente di Dan Wilson, leader dei The Semisonic, è un altro onesto tentativo, nulla di sorprendente, salvato dalla sua incredibile interpretazione; Silver Bell è una deliziosa cavalcata rock lontanissima dal folk dell’autrice, la grande Patty Griffin. Lover, You Should’Ve Come Over decide di non puntare sull’originalità degli arrangiamenti: essendo Jeff Buckley la fonte, ricalca gli stilemi delle solite cover dell’artista scomparso, salvata, però, da un impressionante falsetto e dal roco contralto. Vein In Vain, composta dalla Maines e Harper, è una ballad  confessione, dove, di nuovo, le chitarre pedal steel la fanno da padrone: particolarmente evocativa, ci fa rimpiangere l’idea di un album composto di soli originali. Trained, scritta dal solo Harper, lambisce i territori rock and roll, ma scorre senza sussulti; Come Cryin’ To Me, composta ai tempi di Taking The Long Way, è un pop rock da FM sull’amore e l’impegno, già sentito altrove, mentre, I’d Run Away, scritta dai The Jayhawks, è, al contrario, un piacevole country rock. Il finale di Take It On Faith è una ballata con archi e toni gospel, vicina alle atmosfere delle ultime prove di Harper.

Label: Columbia Records
Anno: 2013

Tracklist

01 – Without You
02 – Mother
03 – Free Life
04 – Silver Bell
05 – Lover, You Shouldn’t Come Over
06 – Vein In Vain
07 – Trained
08 – Come Cryin’ To Me
09 – I’d Run Away
10 – Take It On Faith

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