a cura di Francesco Bonistalli
Che il Teatro degli Orrori abbia sempre avuto voglia di far discutere con i loro dischi non è una novità. I racconti nerissimi che emergono dai loro pezzi sono storie vere riportati come se fossero vissuti in prima persona. Vorrei vedere Pierpaolo Capovilla parlare di Martino, o di Ion, o di Nicolaj nei salotti buoni della tv. Episodi di immigrazione, ma anche di violenza e di morte. Sarei curioso di vedere come la prenderebbero gli illustrissimi ospiti che spesso siedono sulle poltrone Frau degli studi televisivi, sentir parlare di globalizzazione non attraverso l’esplosione di internet o dei mercati finanziari, ma attraverso le storie di persone che, per vivere e far vivere dignitosamente i propri cari, si spostano oltre i confini nazionali per cercare lavoro. La globalizzazione si misura con quanto lontano deve spostarsi un uomo dal proprio paese per trovare lavoro, non con la velocità che necessita una somma di denaro a passare in un conto svizzero.
È molto probabile che non verrebbe ascoltato. In certi ambienti storie scomode come queste vengono dimenticate, perché il posto giusto sono i palchi come quello di Marea, dove il pubblico è presente e ascolta, come del resto in tutte le altre città toccate dal loro tour. Una serata intensa, carica di adrenalina e di pensieri, ma soprattutto fatti su cui riflettere, come solo Capovilla e i suoi sanno regalare. Il suo inconfondibile modo di impugnare il microfono come se avesse in mano un pugnale, facendo ondeggiare il filo del jack, e volesse uccidere. Non un uomo o una donna, bensì qualcosa di astratto come l’ingiustizia e l’indifferenza, che si manifestano nelle storie di vita reale che il Teatro racconta nelle loro canzoni.
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