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lug 04

Sirenia – Perils Of The Deep Blue

Insieme ai soliti nomi dall’indiscusso blasone della scena heavy metal tutta, i Sirenia sono stati fra le primissime band da me approcciate all’alba dei miei indimenticati sedici anni, quando – dopo ripetuti ascolti di Piece Of Mind e Kill ‘em All – decisi di approcciarmi con inaspettata curiosità ad un genere musicale la cui fruizione, nella triste provincia romana in cui sono cresciuto, era vista più o meno come una palese presa di posizione in favore di Satana e delle sue terribili forze oscure, acerrime nemiche – insieme a sigarette e masturbazione – dell’Associazione Cattolica Ragazzi locale, piuttosto che una decisione maturata da personalissime riflessioni, figlie dirette della smodata passione mostrata da mio padre per gente come Deep Purple e Black Sabbath.
Era quella l’epoca di At Sixes and Sevens, primissimo full lenght del four act norvegese (il cui monicker più volte rimandava ai conterranei Tristania, con la dovuta confusione mentale di cui ancora oggi soffro) che, in quel lontano 2002, fece – più o meno – gridare al miracolo: complessa ariosità sinfonica, decise sferzate black, growl d’oltretomba, sezioni ritmiche sostenute e vocalist figa.
Da allora, Morten Veland e soci hanno inciso altri quattro album, compreso il pessimo Enigma of Life, un abominio che sta ai Sirenia come Risk sta ai Megadeth, per dirla tutta.
Logico, dunque, che la notizia dell’uscita di questo Perils Of The Deep Blue, nuovo capitolo nella (tutto sommata) fortunata saga dei Sirenia, mi abbia in qualche modo provocato brividi lungo tutta la schiena: il terrore di trovarmi nuovamente al cospetto di un’indefinita melodia da stazione radiofonica di quart’ordine come The End Of It All era troppo forte.
E invece?
Invece Perils Of The Deep Blue Sea è un Disco con la “D” maiuscola.
Un lavoro d’imponenza orchestrale con pochi precedenti, colorato da riff “finalmente” potenti e strutture musicali complessivamente convincenti, frutto – a mio avviso – d’una ritrovata serenità fra le fila della band: Veland torna a splendere nel cantato brutale, riuscendo – allo stesso tempo – a tessere notevoli  trame sonore, grazie ad un basso sempre vivo e pulsante ed un ottimo lavoro tastieristico; Krumins macina bordate elettriche come un caterpillar, offrendo una prestazione alle sei corde davvero estrema, mentre Perez torna ad essere, dietro le pelli, quel fabbro che avevo sempre rimpianto.
La bella Ailyn, infine, seppur a volte oscurata dalla maestosità sinfonica di cui questo lavoro è imbevuto, riesce a regalarci un cantato convincente e timbricamente più caldo, lontano dagli algidi vocalizzi già ascoltati all’epoca del suo ingresso in formazione.
Brani come Seven Widows Deep e Ditt Endelikt si pongono come colonne portanti dell’intero lavoro, candidandosi ad esser ricordate negli anni a venire come l’evidente (ri)presa di consapevolezza di una band capace ancora di sorprendere e coinvolgere.

Tracklist

01. Ducere Me In Lucem
02. Seven Widows Weep
03. My Destiny Coming To Pass
04. Ditt Endelikt
05. Cold Caress
06. Darkling
07. Decadence
08. Stille Kom Døden
09. The Funeral March
10. Profound Scars
11. A Blizzard Is Storming

Anno: 2013
Genere: Symphonic Metal
Etichetta: Nuclear Blast

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