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lug 05

Charles Bradley – Victim of Love

a cura di Christian Panzano

Dove è andata a parare la soul music? Nel business, come tutte le cose. Prima o poi arriva il momento di accettare che l’arcobaleno non è un’allucinazione. La prima volta che ho ascoltato le note di Hard to handle sono saltato dalla sedia, chiedendomi di cosa mi fossi cibato fino ad allora e mi sono accorto, con un po’ di esperienza in più, che ciò che colpisce della musica popolare sono violini, fiati e piano. Basta ripercorrere la storia del boogie come quella del rhythm and blues o del ragtime. Forme anticonvenzionali, ma simili fra loro per il potenziale di massa riverberato su questa fragile terra. La soul, per come la conosciamo, ha aggiunto lo strumento voce nella cassetta degli attrezzi. Otis Redding era un esempio di fragilità e limpidezza, di commozione e persuasione e la storia lo ha consacrato non tanto per ciò che indubbiamente ha voluto dire Stax-volt movement, quanto per l’indimenticabile concerto a Monterey del 1967 o per le lacrime dei rockers dell’epoca rimasti di stucco nel sentire cotanta beltà. Quindi è stato il rock, o ciò di più simile ad esso, a consacrare l’ingenuità di otto scalmanati degli stati del sud che hanno però fatto la Storia con la esse maiuscola. Ma ora, dove è finito il mausoleo? Ce lo dice Charles Bradley con il suo ultimo lavoro in studio Victim of love prodotto per la fedele Daptone. Charles conosce a menadito Brooklyn, dai cassonetti dell’immondizia alle macchine abbandonate magari dopo una rapina, come confessò a Luca Sapio su Rolling Stone un anno fa. Col ricordo fanciullesco dell’Apollo theatre colmo di accaldati per James Brown, Bradley ha scalato i gradini della vita arrivando a 63 anni ad incidere per la prima volta. Il debutto si chiamava No time for dreaming ed era la vita passata di Charles che si levava in volo come un angelo della miseria per scoprirsi  luogotenente di un corpo celeste. Il suo ultimo lavoro assorbe ciò che di buono la musica dell’anima ha prodotto. Personalmente ho dedicato ore ad ascoltare e riascoltare Love bug blues e Dusty blue che racchiudono una flessibilità di linguaggio encomiabile ed è qui che Bradley supera di gran lunga lo steriotipo da James Brown jr. Gemiti dove il sole cala all’orizzonte per dare spazio a un frontman sensazionale. Otis emerge come emerge Hendrix o la black music in generale, quindi non solo Monterey ma anche una parte di Woodstock riaffiora a colorare la contrappuntistica. L’esordio del newyorkese sanciva una rivincita personale sulla vita, quella fatta di sofferenza e dolore in cui non si vede fine o via secondaria  di uscita. Victim of love lo conferma come interprete indefesso dalle qualità vocali straordinarie e un’umiltà conciliatrice ed errabonda che non ha veramente nulla da invidiare alle storie più assurde e romantiche del libro del soul. Lunga vita al fratello Charles Bradley.

Anno 2013
Label: Daptone records

Tracklist
1. Strictly reserved for you
2. You put the flame on it
3. Let love stand a chance
4. Victim of love
5. Love bug blues
6. Dusty blue
7. Confusion
8. Where do we go from here
9. Crying in the chapel
10. Hurricane
11. Through the storm

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