Hanno scelto Ferrara per la loro unica apparizione italiana, e gli organizzatori di Ferrara Sotto le Stelle hanno optato per il cortile del Castello Estense anzichè l’adiacente piazza Castello, come cornice per far esibire The Black Angels, la terza data di questo festival (si son già esibiti The Fun, e Baustelle con orchestra) che nonostante la crisi globale e la crisi dei festival musicali italiani, riesce ad arrivare con gran splendore alla sua diciottesima edizione. Una scelta, quella del cortile del Castello, già effettuata in passato per alcuni artisti, tra i quali Johann Johannsson, al quale ho avuto il piacere di assistere, concerto che si prestava molto ad una cornice simile, perchè intima e senza particolari problematiche sonore; ma temevo un po’ per gli angeli neri, per la loro potenza sonora, pensavo fosse poco adatto rinchiuderli tra le mura della residenza medievale, nonostante sia un luogo così suggestivo che in parecchi pagherebbero per poter fare una data lì dentro. Ma mi sbagliavo, un suono perfetto, anzi estremamente avvolgente, ha impreziosito un’atmosfera già suggestiva, insomma, una scelta azzeccatissima. Ma procediamo con ordine.
Arrivo attorno alle 21, digerendo una cena a base di Mc Donald, valico il ponte levatoio dell’ingresso del Castello, e mi trovo già un bel pò di gente davanti al palco di dimensioni contenute; riscaldati dagli ultimi spiragli di luce solare, stanno suonando i Giobia, gruppo italiano anch’esso di ispirazione piuttosto psichedelica: ho il piacere di ascoltare tre dei loro brani, mi colpiscono per varietà e pulizia d’esecuzione, freschezza e semplicità; nulla di troppo forzato, i suoni escono naturali da chitarre effettate all’inverosimile, sintetizzatori spolpati e sezione ritmica efficace. Mi maledico da solo per essere arrivato un po’ lungo, potevo mangiare un McToast in meno e godermeli dall’inizio, ma vabbè… Decido di facilitare la mia digestione con una birretta, mentre i tecnici effettuano il cambio palco: il tempo di salutare un paio di amici e amiche, chiaccherare con loro di quanto il concerto dei The Knife a Milano sia stata una presa per i fondelli (e per fortuna non ci sono stato!), constatare quanto caldo possa avere chi a luglio porta il giubbetto di pelle, condividere un po’ le aspettative su questa data e le prossime di Ferrara Sotto le Stelle (prossimamente The Vaccines, Arctic Monkeys, Sigur Ros), che un piccolo boato attira la mia attenzione; si spengono le luci sul pubblico, e si accendono sul palco, e salgono i cinque di Austin, ed inizia il viaggio. Perchè bisogna lasciarsi trascinare dalla loro musica, abbandonarsi completamente e lasciarsi trasportare da quei riff potenti ed al tempo stesso un po’ malati, dalla bionda chioma fluttuante di Stephanie la batterista, dalla voce tagliente di Alex, da questi suoni che ti sollevano dai sampietrini del cortile del Castello, e ti guardi intorno e non capisci bene dove sei. L’anacronismo che si crea è davvero singolare, neopsichedelia racchiusa all’interno di un contenitore che avrebbe migliaia di storie cavalleresche da raccontare; e c’è chi di fianco a me, reagisce inconsapevolmente a questo connubio indossando occhiali da sole da Tour De France, e sorridendo beffardamente tutto il tempo.
E’ un po’ questo il pubblico presente, in prevalenza maschile, un po’ di hipsterismo ma anche tanto vintage, ci sono gli appassionati dei Velvet Underground, gente con la t-shirt dei Joy Division, la madre di una mia amica che mai mi sarei aspettato di trovare lì, e la percezione della presenza di tanti curiosi, che visto il costo piuttosto contenuto del biglietto (rispetto a tanti altri concerti), si sono voluti regalare l’esperienza di questa band. Nelle prime file ci si dimena parecchio, si vedono teste sobbalzare in preda a spasmi di energia soprattutto in quei pezzi di Indigo Meadow che sprigionano più cattiveria, come ad esempio in Don’t Play With Guns, ma anche i pezzi più “ballata” non fermano il pubblico. Un’ora e mezza abbondante di saliscendi psichedelico, durante il quale i momenti più flosci vengono subito ripresi da sferzate di energia che ti risvegliano dal “brutto viaggio” e ti allargano la pupilla, ti fanno raddrizzare le orecchie e ti fanno pensare che tutto sommato, se in quella birretta che ho preso ad inizio concerto ci fosse stata una puntina di LSD, sarebbe stato di sicuro il concerto della vita. Ma tutto sommato, meglio aver assistito a questo performance da sobrio (anche se la digestione della mia malsana cena ha contribuito a rendere il tutto più lisergico); quasi mi dispiace che gli angeli neri non tornino più sul palco, ma è la sensazione che si ha sempre alla fine di ogni viaggio, una piccola malinconia che pervade sulla gioia di aver raggiunto il proprio traguardo, con la consapevolezza che il viaggio è appunto bello durante il suo tragitto, ma mai al suo punto di arrivo.
Grazie a Sara Tosi per la gentile concessione delle foto
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