a cura di Marco Valchera
Di fronte all’esordio di Nadine Shah, Love Your Dum And Mad, non si può che rimanere estasiati dagli ottimi brani offertici da questa giovane artista inglese, figlia di madre norvegese e padre pakistano. Nadine ci aveva già regalato due ep, ma il suo debutto vero e proprio è un’autentica meraviglia, leggermente inferiore al capolavoro di Anna Calvi di un paio di anni fa. E proprio con quest’ultima, la Shah sembrerebbe condividere la passione per Nick Cave e PJ Harvey, che prende la forma, nella prima sezione dell’album, in composizioni rock, dai toni post grunge e dalle chitarre in primo piano. Mentre la seconda sezione si dipana in strade completamente opposte, rivelando la sorprendente natura binaria di questo esordio: si susseguono una serie di toccanti e profonde ballate al pianoforte, dai toni jazzati e operistici, in cui la nostra rievoca una vastissima gamma di interpreti, da Tori Amos ad Amanda Palmer, da Sienna Swan a Zola Jesus, mantenendo, comunque, una sua spiccata personalità, incarnata da quella voce potente, rauca, sofferta e teatrale. Accompagnata dal produttore Ben Hillier (Depeche Mode, Blur, Beth Jeans Houghton & The Hooves Of Destiny), la Shah dà corpo a un lavoro complesso, non facilmente accessibile, dalle mille sfumature e fortemente malinconico. Ci si potrebbe spendere in una serie infinita di paragoni, anche con Natasha Khan di Bat For Lashes, date le comuni origini, ma Nadine riesce a brillare di luce propria: non vi è dubbio che Love Your Dum And Mad sia uno dei migliori album di cantautorato femminile di questo 2013, nonché degli ultimi anni.
Le prime cinque tracce si muovono lungo un percorso rock, con linee evidenti di basso: si parte con la migliore di questa sequenza, Aching Bones, un post grunge dalle atmosfere industriali e fosche alla My Brightest Diamond, per proseguire con To Be A Young Man, un calco della Polly Jane Harvey degli inizi. Runaway vede la Shah impegnata sul tema dell’adulterio su ritmiche dure; The Devil, stesso titolo di un pezzo della Calvi, ne richiama lo stile, in un tango baudeleriano, mentre Floating rallenta questa cavalcata, con chitarre morbide e pacate ad accompagnare un’interpretazione da brividi, con liriche sulla malattia mentale. All I Want fa da spartiacque: il soave e sognante uso dell’elettronica e la compartecipazione di un pianoforte aprono alla seconda sequenza di Love Your Dum And Mad, dove a farla da padrone sono ballate pianistiche, scheletriche dal punto di vista degli arrangiamenti, ma ricche di frustrazione, amarezza, malinconia e una vasta gamma di sensazioni differenti. Used It All è un’elegia alla Amanda Palmer senza punk cabaret, il singolo Dreary Town, il picco dell’intero lavoro, si sorregge su un pianoforte e poco altro, ma l’intensità vocale della Shah e il pathos creato la riallacciano a una Zola Jesus meno stravagante, sull’onda di tracce come Skin. Remember, dalle atmosfere lynchiane, risponde alla lezione di Regina Spektor; Filthy Game, ispirato da Palomar di Italo Calvino, è evocativo come le perle di Agnes Obel. La chiusura è affidata a Winter Reigns che lambisce i territori del jazz, dando vita a una meditazione delicata e sfuggente.
Label: Apollo Records
Anno: 2013
Tracklist
1. Aching Bones
2. To Be A Young Man
3. Runaway
4. The Devil
5. Floating
6. All I Want
7. Used It All
8. Dreary Town
9. Remember
10. Filthy Game
11. Winter Reigns
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