a cura di Max Sannella
Nel rivendicare duramente la loro appartenenza alle paratie più tumefatte degli anni Novanta, immersi in quei tzunami di fuzz e squarci elettrici che ne abbrustolirono bene bene la scena, i Drenge di Sheffield vogliono stigmatizzare in questo loro debutto che porta il nome Drenge (che tradotto dal danese significa ragazzi), tutta l’irruenza e la durevole protervia della “rivoluzione amplificata” per antonomasia, e ad onor del vero, se proprio si dovesse stilare una piccola classifica di temperatura, i fratelli Rory e Eoin Loveless (rispettivamente batteria e chitarra), la vincono sulla corta distanza, il disco in rapporto a quegli anni di fuoco vi ci si accaserebbe con merito.
Ma al di la dell’interesse fanatico per la Seattle qui tanto riagganciata, il suono Drenge è un bel melt di grunge con la bava e un garage-blues di quello laido e da vomito nei bassifondi, una passionevole tonalità grigio topo che in ogni pizzo della tracklist, annoda, strozza e sviscera una chitarra, una pedaliera al fulmicotone e pelli in stalking, un ascolto che viene letteralmente rapito dalle correnti impetuoso di un rock che conquista di primo acchito; AINC (Face Like A skull) e Motorhead (I want to break you in half), ecchimosi di Nirvana (Dogmeat) e zone bluastre di Jon Spencer Blues Explosion (Nothing) sono le qualità di appannaggio che il duo inglese mette insieme in un suono totale irreprensivo, tecnica eccellente quanto sporca, miasmi di rigore e traspotting vocali poi vanno a rifinire il tutto come un suggello trainante all’infinito.
Quello che i Drenge polverizzano in una manciata di minuti d’ascolto sono chitarre e palm muting d’impeto, metallizzazioni corrosive e la tempra grezza, grassa di un macramè di svisi contorti e trasversali, un coinvolgimento elettrico che non risparmia nulla; di personalità ce ne mettono abbastanza, tanto da credere di essere oramai “appartenenza” conclamata degli archivi del grunge story, e poi la loro misura pare mai colma, tanto che raggiungono anche zone “desertiche” stoner (Backwaters), fino a spingersi nei territori languidi e maledetti di Fuckabout, ballata blues e liriche “dirette” verso chi crede di essere “tutto”, di essere “tanto”.
I fratelli Loveless esordiscono con un album “superdotato”, un condensato che trasmette con vigore anche preziosi minuti di recupero, di surplus, ben oltre i Novanta. Alzate il volume al massimo!
Label: Infectious
Anno: 2013
Tracklist:
1.People in love make me feel yuck
2. Dogmeat
3. I want to break you in half
4. Bloodsports
5. Backwaters
6. Gun crazy
7. Face like a skull
8. I don’t want to make love to you
9. Nothing
10. Bye bye bao bao
11. Let’s pretend
12. Fuckabout
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