Il terzo album di Julia Holter, Loud City Song, trae la propria ispirazione dal romanzo breve di Colette, Gigi (con annesso adattamento sul grande schermo del 1958 con la regia di Vincente Minnelli) e si sviluppa come una serie di novelle focalizzate sulla città, incarnata dall’antitesi tra la Parigi di fin de siècle e la caotica Los Angeles del ventunesimo secolo. La Holter passa in rassegna tutti gli aspetti della realtà sociale: l’incontro-scontro tra collettività e individualità, il pettegolezzo, l’amore, il mondo dello spettacolo, il suono della vita cittadina (“There’s a flavor to the sound of walking no one ever noticed before”). Ne emerge un lavoro dagli accenti colti e mai banali, come nella tradizione della giovane interprete, ma con un’apertura maggiore a un pubblico più vasto, concretizzata, per lo più, dalla grande teatralità e dal sapore cinematografico, da uno sguardo alle atmosfere fumose e parisienne della Belle Époque. Loud City Song segna, inoltre, il suo debutto in un autentico studio di registrazione, in cui l’interprete ha avuto l’occasione di allontanarsi dalla produzione fatta in casa dei predecessori e di sfruttare un set più ampio e trasversale di strumenti, ben presenti in alcune delle tracce. La Holter si sta spingendo in una carriera da pura artista di avanguardia: dall’ispirazione euripidea (Ippolito) di Tragedy (2011) alla rarefazione fantastica di Ekstasis (2012), è approdata nel mondo variopinto e frastagliato di Loud City Song, dove a dominare è lo sguardo verso un immortale passato artistico europeo e l’immortalità affidata alla settima arte della mecca hollywoodiana per eccellenza.
Il cinema domina le due suite Maxim’s I e Maxim’s II, dal nome del famoso ristorante parigino in Rue Royale, dove Gigi, divenuta ormai donna, cenerà con Gaston: la prima pièce, splendidamente jazzy, a metà strada tra la prima Fiona Apple e Joan As Police Woman, è un’analisi sugli aspetti più oscuri della celebrità, leggasi la totale mancanza di privacy (“Tonight the birds are watching me/ do they have more important things to do?”); la seconda, invece, sfrutta archi, tromboni e cori, per creare un ambiente fantastico, in cui, inizialmente, rivive un recitato alla Charlotte Gainsbourg, che si evolve nella rievocazione delle atmosfere lussuose di un qualche fumoir della capitale francese. È difficile riuscire a descrivere a parole i paesaggi costruiti dalla Holter: ne è un esempio World, la cui malinconia è giocata sulla negazione di una definita dimensione temporale e spaziale, ottenuta con un lungo inserto a cappella, prima dell’entrata di piano, contrabbasso e archi. Horns Surrounding Me è claustrofobica: l’ansimare di Gigi/Julia in quello che potrebbe essere un inseguimento è risolto in un vaudeville di fiati e elettronica trip hop. Il tentativo di contatto con un pubblico meno élitario è dato dal singolo In The Green Wild, contrabbasso e archi trasversali, che guarda a Laurie Anderson, dal breve e toccante interludio pianistico He’s Running Through My Eyes e dal sax e fiati di This Is A True Heart, che segue la tradizionale musica d’Oltralpe. Fulcro di Loud City Song è la cover di Barbara Lewis, Hello Stranger, più oscura e sensuale, in cui il senso di eterno è conferito dai suoni marini (le onde, i gabbiani) e un duetto violoncello-lieve elettronica, prima di una coda sospesa e meditativa.
Label: Domino
Anno: 2013
Tracklist
01 – World
02 – Maxim’s I
03 – Horns Surrounding Me
04 – In The Green Wild
05 – Hello Stranger
06 – Maxim’s II
07 – He’s Running Through My Eyes
08 – This Is A True Heart
09 – City Appearing
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