Nel caso di Polly Scattergood, giovane artista inglese, bisognerebbe dire “buona la seconda”: il suo omonimo esordio del 2009 era ricco di brani sospesi e dolenti, per lo più con al centro il pianoforte, che guardavano a Tori Amos così tanto, da annullarne la personalità e creare quel fastidioso effetto di già sentito. Con Arrows, invece, non solo la Scattergood fa un decisivo passo in avanti, ma arricchisce il suo specchio di modelli, in primis i Goldfrapp (per cui ha aperto il concerto alla Somerset House quest’anno) dance pop di Supernature, ma anche Bat For Lashes, e la pop dance della migliore Kylie Minogue. La novità di questo nuovo capitolo sta proprio nell’aver optato per l’elettronica, sebbene qualche ballata al pianoforte sia ancora presente: questa decisione si sposa perfettamente con il timbro flebile e poco potente della Scattergood (forse il difetto più grande dell’album), che riveste, nella sua fragilità e con il suo sospirare, beats electro dance, lontani dalla musica da classifica dei dj mondiali alla David Guetta. Molto più vicino a Robyn che alla Amos: di certo Arrows non sarà un album che cambia la storia della musica, ma è un ascolto piacevole e, a tratti, non scontato.
I singoli di lancio scelti per promuovere l’album sono un perfetto segnale della doppia anima di Arrows: Cocoon (interessante anche il videoclip) è un delicato e malinconico brano, in cui atmosfere sognanti e folk si uniscono a una lieve spruzzata di elettronica, sulla scia della migliore Kate Bush, mentre la roboante Wanderlust è, tra le uptempo proposte dalla track list, la più efficace, in quanto copia carbone di Ooh La La dei Goldfrapp, vero e proprio manifesto di pop dance di ottima fattura e ripetutamente saccheggiato (chiedete ai Muse di Uprising o alla Charlotte Gainsbourg di Terrible Angels). Per il resto attraversiamo una serie di brani, costruiti su un’elettronica intelligente e mai invasiva: da una Falling molto 80’s, nello stile di Little Boots, a una più convincente Disco Damaged Kids, a metà strada tra la Minogue e gli M83, una Subsequently Lost, malinconica ma furbetta. Dall’altro lato, invece, si susseguono, brani più intimisti e meno immediati, ma, in alcuni casi, sorprendenti: gli archi che sostengono la dolorosa Machines sono splendidi, anche se la coda finale, troppo simile ai Coldplay, spezza leggermente l’incantesimo; Colours Colliding riprende Sinead O’ Connor, ma a mancare è l’intensità vocale. Miss You è la migliore del lotto: sorretta da un pianoforte, riesce nell’impresa di unire i Goldfrapp e la violinista Vyvienne Long. La conclusiva I’ve Got A Heart, anche nella scelta di un’interpretazione molto vicina alla Amos, è una eterea ballata piano-archi, con una coda orchestrale che accentua la tristezza delle liriche (I’ve got a heart, I think it’s bigger than yours/Because it lets people in, who constantly disappoint me).
Label: Mute
Anno: 2013
Track list
1. Cocoon
2. Falling
3. Machines
4. Disco Damaged Kid
5. Colours Colliding
6. Miss You
7. Subsequently Lost
8. Silver Lining
9. Wanderlust
10. I’ve Got a Heart
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