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lug 06

The Pains of being pure at heart – Belong

E’incredibile come passi il tempo. Mi sembrava qualche mese fa, invece capitò ad ottobre 2010. Quella sera ero abbastanza indi(e)sposto e quindi preferii fare una catartica partita di calciotto, prima di farmi lasciare al Circolo col borsone per vedere i Pains of being pure at heart. Solo che arrivai tardi ed il tutto esaurito mi aveva privato di possibilità d’ingresso. Poco male, poiché il live era quasi finito, e sono riuscito ad intrufolarmi per gli ultimi due pezzi trovando un minuscolo spazio vitale nel quale poter almeno respirare. All’uscita opinioni discordanti. Un tizio mi giurò che era stato uno dei più brutti concerti che aveva visto nella sua vita e che non avrebbe saputo cosa scrivere per iniziare il suo pezzo. Gli altri che stavano dentro avevano impressioni più tranquille. Forse era passato abbastanza tempo per metabolizzare. Resta il fatto che il nuovo disco (questo sì) è uscito da un paio di mesi. Marzo per l’esattezza. Si chiama Belong e c’hanno messo di nuovo mano quelli della Slumberland Records. In memoria dei bei tempi andati. Romanticismo d’antan. Se nella ex Germania Est la nostalgia per la DDR ed il socialismo reale ha prodotto film come Goodbye Lenin ed un fenomeno noto come Ostalgie (nostalgia dell’est), nel mondo musicale lo struggimento per gli anni ’80 ha creato band come i Pains suddetti ed un fenomeno che chiameremo Ottalgia. Ossia la nostalgia degli anni ’80.
Per una controprova, basta vedere chi ha prodotto Belong: un tizio di nome Flood. E chi lo ha mixato: un tizio di nome Alan Moulder. Noti ai più per le collaborazioni con gente come Depeche Mode ed U2. Basta ascoltare l’inizo di Even in Dream e sembra quasi far capolino Bono Vox che canta With or Without you. Quindi tanto tempo fa. Per un’altra controprova basta mettere su il disco ed ascoltare le note dolci e smaliziate di Kip Berman, Peggy Wang, Alex Naidus, Kurt Feldman e Christoph Hochheim. Ossia i 5 Pains da NYC. Indie Pop d’esportazione adatto per le serate estive in cui ballare assieme a qualche ragazza che pensate ci possa stare. Un paio di cocktails ed il basso pulsante di Heart in your heartbreak, o le aperture infinite di The Body, potrebbero anche bastare per approcciare con un gioco di rimandi tipo “Ma sai che questo pezzo mi ricorda i New Order?”. La Ottalgia comporta tale tipo di scomodi paragoni. Come quando ci si trova di fronte a Girls of 1000 dream e naturalmente ti vengono in mente i fratelli Reid. Ma della polvere e dell’asfalto da strada dei Jesus & Mary Chain non c’è traccia. Qui sembra di entrare in un museo dove le teche in esposizione sono pulite e tenute in ordine in modo maniacale con Mastro Lindo. Artificiosamente. Parole sussurrate e trascinate, chitarre dilatate in onore a Kevin Shields (ma ditelo sottovoce), ritmo incalzante e tastiere d’atmosfera (intensa nella sua accezione inglese). Oppure un paio di accenni a Robert Smith (l’inizio di Heavens gonna happen now, veramente ottima, e direi all’incirca tutta Too Tough). Molti pezzi sembrano uscire dal disco d’esordio (la stessa iniziale Belong), d’altronde è passato proprio poco tempo. Giusto due annetti. Forse sono tanti? In realtà la vera domanda da farsi è quanto tempo sia passato dagli anni 80. La matematica mi dice che sono all’incirca 30, ma i Pains of Being Pure at heart me li fanno sembrare veramente di più.

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