Sono passati tre anni dal confusionario e, a tratti, cacofonico Maya, e, nel frattempo, M.I.A. ha tentato l’assalto al mainstream: l’imbarazzante collaborazione con Madonna e Nicki Minaj in Gimme All Your Luvin’ e l’esibizione della stessa al Super Bowl, l’evento sportivo più importante negli Stati Uniti, avrebbero dovuto consacrarla al grande pubblico, dopo anni di underground e solo una hit di successo nelle charts, Paper Planes. Ma qualcosa è andato storto: di fronte a milioni e milioni di americani, Maya Arulpragasam si è lasciata andare a un vistoso dito medio, che ha scatenato la reazione pubblica e anche quella della Ciccone, che ha deciso di cestinare un altro suo featuring (l’altrettanto imbarazzante B-Day Song) nella versione deluxe del suo recente MDNA. M.I.A. è l’emblema dell’artista di razza, che non riesce a farsi intrappolare nel grande mercato, ma ne vorrebbe far parte a tutti i costi: questa dicotomia è evidente nella collaborazione con Versace e, contemporaneamente, nella scelta di aprire un suo concerto con una chiamata Skype di Julian “Wikileaks” Assange, che si proclama suo fan. La scelta di liriche impegnate politicamente è sempre stata evidente nel lavoro della giovane di origine tamil e Matangi, suo quarto lavoro, prosegue in questo discorso: ispirato alla dea hindu della musica, arte e poesia, l’album ha subito una lunga traversia. Inizialmente previsto per Dicembre 2012, la Interscope ha deciso di bloccarne la pubblicazione perché troppo “allegro e positivo”, fino a quando l’artista ha minacciato la sua casa discografica di distribuirlo gratuitamente. Queste controversie, però, non ne hanno intaccato il contenuto: Matangi è un’ottima prova, migliore di Maya, che si ispira agli esordi (soprattutto Kala), e contiene il solito calderone di suoni orientali, grime, hip hop, elettronici, che hanno reso M.I.A. una delle interpreti più uniche e intraprendenti dell’ultimo decennio.
M.I.A. ha ampliato la scelta di produttori che l’hanno accompagnata in questo viaggio: i primi rumors parlavano di Pharrell, Swizz Beatz, Polow Da Don, maestri nel creare beats hip hop di successo, ma, nessuno di questi nomi è presente in Matangi. La selezione è ricaduta sul collaboratore storico Switch, qui, in forma smagliante, e su Danja, Hit-Boy, Surkin e altri nomi minori e indie-pendenti. Il singolo apripista Bad Girls, uscito, ormai, più di un anno fa, è la traccia più pop di Matangi, ma rimane ancora irresistibile: quel suo ritmo orientaleggiante e la frase “Live fast, die young/Bad girls do it well” si imprimono nella mente e, ascoltandoli, sembra sempre di rivedere le quattro adolescenti sbandate di Spring Breakers di Harmony Korine o il gruppo di giovani ladri di The Bling Ring della Coppola. Ma M.I.A. guarda moltissimo alle sue radici: la title track, uno degli highlights dell’album, con il suo sapore bollywoodiano, è un frammentato elenco di paesi mondiali su un beat sincopato che, non solo dimostra in quanti si ispirino alla sua musica (Santigold, Azealia Banks), ma ricorda da vicino Bird Flu; Only 1 U e aTENTion, invece, si rifanno al debutto Arular, con un mix, maggiormente riuscito nella prima, di elettronica e dancehall. Come Walk With Me è una solare danza indiana orecchiabilissima, prima della sua trasformazione che ben si rifà alla definizione che M.I.A. aveva dato per descrivere Matangi: Paul Simon sotto acidi. Ci sono, anche, frequenti incursioni nell’hip hop: la potente Warriors richiama Watch The Throne di Jay-Z e Kanye West in salsa orientale (il produttore Hit-Boy, non a caso, è lo stesso); la doppia e soave collaborazione con The Weekend in Exodus/Sexodus, in cui indossa le vesti di un’artista r’n’b; l’aggressiva e riuscita Bring The Noize e la critica a Drake in Y.A.L.A., parodia di YOLO del rapper (“You Only Live Once”), in cui il beat oscuro e scarno – sullo stile di Yeezus dell’ultimo West – accompagna liriche quali “If you only live once/Why do we keep doing the same shit?/ Back home, where I come from, we keep being born again and again”. Non mancano il reggae dancehall di Double Bubble Trouble, né l’esperimento rarefatto di Lights, così tanto Santigold, da non poter distinguere le due.
Matangi riconferma che M.I.A. ha qualcosa di più di molte altre sue colleghe della scena attuale: un desiderio continuo di sperimentare e di rompere le barriere tradizionali che ci regala un ottimo lavoro e un’artista ormai inconfondibile e originale.
Label: Interscope
Anno: 2013
Track list
01. Karmageddon
02. MATANGI
03. Only 1 U
04. Warriors
05. Come Walk With Me
06. aTENTion
07. Exodus
08. Bad Girls
09. Boom Skit
10. Double Bubble Trouble
11. Y.A.L.A.
12. Bring The Noize
13. Lights
14. Know It Ain’t Right
15. Sexodus
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