Dopo 6 anni dal precedente The Game!, tornano sulla scena gli Actionmen, con un doppio cd che appaga l’attesa. Sono stati 6 anni durante i quali la band ha fatto parecchie date, dove si è fatta conoscere e dove ha fatto divertire, ed è proprio questa la dimensione in cui ho conosciuto questi sciroccati ragazzotti. Non si prendono infatti mai troppo sul serio ma sono tecnicamente mostruosi, questi ragazzi romagnoli sono consci delle loro capacità che mettono al servizio del vero e proprio spasso musicale; hanno cercato di intrappolare questo loro manifesto in questo nuovo album, riuscendoci ma solo in parte, poichè le performance dal vivo mantengono una marcia in più rispetto all’ascolto del disco. Ciononostante queste 22 tracce sono una più sorprendente dell’altra, una continua esplosione di pazzia sonora, una sorpresa dietro l’altra, è un po’ come scoperchiare il vaso di pandora della demenza musicale. Le fondamenta di questo disco sono quelle del ROCK DURO, come tengono a precisare nel comunicato stampa che accompagna Ramadama, ma i generi e le influenze sono davvero tante, ed è questo che ci piace degli Actionmen e che ci fa ascoltare la loro musica con un perenne sorriso beota stampato sulla faccia; i loro brani sono una continua fusione di generi, di cambi di ritmo eseguiti magistralmente, e sono questi espedienti che attraggono l’orecchio anche dei meno esperti o appassionati del genere. Risulta quindi un pò difficile recensire linearmente questo album che però è davvero fico, uno di quegli album che ti cacci su in macchina per farti un giro manco tu sai dove, in compagnia di amici e amiche, e poi va a finire che quel viaggio te lo ricordi per un bel pò… Ad ogni modo, proprio perchè è un album strampalato, il mio approccio nel recensirlo sarà quello di saltare da un brano all’altro di questi due cd. Tanti i titoli che balzano al mio occhio e con i quali vorrei iniziare, ma uno su tutti rapisce la mia attenzione: Diosporc, un titolo che neanche so se posso scrivere, che ricorda tanto un’imprecazione (ma più che altro lo è), quasi come l’andamento del brano, deciso come quella sagagna che ti parte naturale quando ti cade un incudine nel mignolino del piede; un brano di vero ROCK DURO insomma. Intanto che scrivo ste baggianate però è già partita la successiva Mugna Latin, ritmo coinvolgente e un cantato in dubbio spagnolo, un riff messicaneggiante che poi si incazza e ti dà due schiaffoni nelle orecchie. Mi risveglio quindi e cerco di ritrovare un titolo di un brano che valga la pena di essere affrontato, ma da una rapida analisi mi accorgo che la maggiorparte dei titoli sono nomi maschili forse un po’ buttati alla pisello di cane (perdonatemi la scarsa aulicità, ma non trovavo metafora più azzeccata): Mario, Agamennone, Franco, Marino, Demetrio, però poi vedo che ci sono altre due Mugna, quindi decido passare in rassegna queste due e tornare sui nomi maschili in un secondo momento. Mugna II mi ricorda all’inizio gli Offspring, poi i NoFx, un pò i Millencolin, insomma si tratta di un pezzo serio; e non fai in tempo a realizzare questo pensiero che ti cambiano le carte in tavola e tornano dei riffettini pseudocaraibici che subito pensi “ma checcacchi’è…?!”, ed immediatamente torna la cattiveria del punk e poi si ferma tutto all’improvviso e dopo una piccola pausa c’è un minuto e mezzo di fusion che ti verrebbe voglia di farti una caipiroska. Bah, valli a capire te sti qua… Allora dai, vediamo cosa mai ci racconterà Mugna 45: anche qua si parte con quel punk randellato che mi fa sentire tanto giovane e che ipotizzo sia davvero difficile da suonare, e mentre il brano scorre non so cosa aspettarmi, ho quasi paura di sentire cosa può succedere; infatti ad un minuto dalla fine parte l’esercizio stilistico che si fonde col resto del brano, ma stavolta rimango quasi un po’ deluso e allora cerco un altro titolo deficiente. Torno sull’andazzo dei nomi maschili e non posso non skippare su Mirco e Frocele, un brano spensieratamente felice, davvero bello e con quegli intermezzi vocali che ti fan pensare che gli Actionmen ti stiano facendo una supercazzola continua, ma poco importa perchè te la canti volentieri. Dato che son tornato d’umore positivo, voglio ascoltare Cantante Dei Korn, ipotizzando che ci sia una correlazione tra brano e titolo, ma durante l’ascolto non ne trovo nemmeno una e allora mi rattristo un po’ nuovamente, anche se rimango carico a palla. Decido così di scoprire se quella Living On My Own è veramente quello a cui sto pensando, e dopo solo un secondo d’ascolto dico “Sì dannazione!”: coverizzata alla loro maniera, non potevano che scegliere brano più azzeccato da inserire in questo album, con quel suo ritmo galoppante che ti fa pensare a come potrebbe averla cantata Freddie ubriaco di gin ad una festa del raccolto in Kentucky. Ringalluzzito come una mangusta di fronte ad una vipera che si è appena pappata un licaone, non posso fare altro che ascoltarmi Kebab, e anche qua non c’è respiro: quasi tre minuti di tempesta di ROCK DURO prima di un’apertura etnica dove si biascicano canti mediorentali ai quali ogni tanto ci hanno abituato nei loro live. Torno indietro di un pezzo e mi ascolto Jack McQuack, parte subito col ritornello in italiano che mi sorprende e mi sembrano i GemBoy, ma dopo il tutto si tramuta in inglese, e poi forse ancora in italiano ma con parole incomprensibili o forse è semplicemente la seconda supercazzola del disco; ad ogni modo un vero e proprio inno allo “spaccatutto”. Ho ancora una decina di minuti a mia disposizione per ascoltare qua e là perchè poi devo spegnere il computer e allora mi butto a capofitto su Turbo Pascal, che se non ricordo male era una specie di sistema operativo di un computer primordiale o qualcosa del genere: il brano non evoca ovviamente nulla di tutto ciò, ma si ascolta comunque benone ed è forse il secondo brano più serio (o meno idiota, vedete voi da che parte vedere il bicchiere) dell’album. Faccio in tempo ad ascoltarmi anche l’ultima traccia del secondo cd, che comunque dura quasi 7 minuti e che si chiama Salamm: non poteva esserci altro epilogo per questo lavoro se non con questo esperimento, un delirio che abbandona completamente il ROCK DURO e si dedica alla sperimentazione elettronica; per farvi capire è come se col sapientino si potesse fare una base musicale, e se una scimmia avesse collegato due elettrodi alle corde vocali di un somaro e un canguro avesse lanciato due petardi alla scimmia per spaventarla e fare in modo di far cantare il somaro, solo che il somaro invece che cantare sembra fare una specie di preghiera (o forse la terza supercazzola del disco). Mi accorgo che c’è anche una Mugna III che mi è sfuggito all’ascolto ma ormai è tardi e devo pubblicare sta recensione.
Insomma, Ramadama è divertente, è vario, è genuino, ed è pure ascoltabile, ed è anche suonato bene, e scommetto che tecnicamente fa accapponare la pelle anche ai cultori della variazione e dei ritmi dispari sincopati in tredicesimi; se proprio dovessi dare un voto a questo album, sarebbe di certo nove virgola sette ottantaduesimi.
Anno: 2013
Etichetta: Autunno Dischi \ Inconsapevole Records \ Bells On Records
Tracklist CD1:
Agamennone
Mario
Living on my own
Mirco e Frocele
Orlando
Ram Das
Dubai
Diosporc
Mugna latin
Jack mcQuack
Kebab
Tracklist CD2:
Mugna II
Turbo Pascal
Querela
Mugna III
Marino
Franco
Cantante dei Korn
Demetrio
Mugna 45
Murgia
Salamm
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