Cercar di parlare, con dignitoso piglio critico e ferma convinzione, di una realtà eclettica così mista ed organicamente non racchiudibile come gli sperimentalismi multietnico – musicali degli americani The Mars Volta non è mai stata cosa di semplice e banale compilazione.
Praticamente esenti da una classificazione musicale schematicamente ben precisa, la band degli ex At The Drive In, Omar A. Rodriguez-Lopez (chitarra) e Cedric Bixler Zavala (voce), si è sempre orientata sulla più completa libertà artistica, sulla sapiente indipendenza compositiva nonché su di un’invidiabile fedeltà cieca verso sperimentazioni e divagazioni stilistiche, proponendo, di volta in volta, brani che sembrano pescare le proprie strutture pentagrammate direttamente da un archivio mnemonico sterminato, fatto di jazz, avanguardia, rock, fusion, dub ed heavy metal.
Preferendo l’integrità delle proprie regole piuttosto che l’asservimento al facile e redditizio digestivo consumistico, i Mars Volta si sono presto trasformati in un ensemble di nove membri unico nel suo genere, classificandosi, dopo cinque meravigliosi album (in verità, il penultimo, lo è un po’ meno), come il perfetto punto d’incontro fra LE arti contemporanee tutte, dove le stesse digressioni musicali sembrano manipolate da regole cinematografiche e letterarie, dov’è piuttosto la pittura surrealista di Ernst e Mirò a suggerire le giuste chiavi d’interpretazione di un operato auditivo veramente fuori da ogni canone convenzionato.
Con questo nuovo The Bedlam In Goliath, la versatilità quasi vertiginosa del gruppo, decisamente meno levigata e pacchiana rispetto al precedente (e sfuggevole) Amputechture, torna qui, dopo “appena” due anni, a farsi nuovamente visionaria ed acrobatica, in una tracklist dal minutaggio magari più contenuto rispetto ai precedenti lavori, ma non per questo dalle tessiture meno incisive e dinamiche di un “qualsiasi” altro Francis The Mute.
E proprio dai frammenti ancora sussultanti del binomio Francis The Mute / De – loused In The Comatorium ricompare l’ariosità elettrica e ridondante propria di una strumentazione stravagante e quantomeno atipica, comprendente flauti, sax, clarinetto, manipolatori sonori, ritmiche tribali e Moog oltranzista (oltre a vocoder e distorsioni assolutamente inedite).
Nonostante la dipartita dell’animalesco batterista (Jon) Philip Theodore, poi, la sezione ritmica non sembra lontanamente risentire di una defezione così pregevole, venendo affidata ad un altrettanto incredibile Thomas Pridgen, vero e proprio metronomo vivente in grado di arrampicarsi praticamente su qualsiasi ritmica suggerita.
L’interrotta rivoluzione sonora dei Mars Volta ricomincia, dunque, dall’istinto e dal confronto con se stessi, in un continuo e voluto mescolare le carte disposte in tavola fino all’onnisciente delirio musicale in cui non c’è mai vera confusione, ma solo l’esecuzione perfetta e metodica di una proposta tanto azzardata quanto geniale.
Fin dalla primissima traccia, Aberinkula (opener diretta e cattiva come non mai), è evidente la complessità melodica di cui si rivestono queste dodici tracce, ovunque disseminate di malcelato romanticismo chitarristico di crimsoniana memoria e prestazioni vocali vibranti ed acute, affidate all’espressivo repertorio del cotonato quanto estroso Bixler Zavala.
Un unico filo conduttore, la sua voce, capace di attraversare il disco con leggerezza e capacità estensiva non indifferente, costantemente abbarbicato su falsetti ambiziosi ed improvvise virate melodiche. Dall’oscura paranoia notturna di Askepios al caos meditato e furibondo della più esoterica Metatron, interamente “diretta” dalle corde barocche ed esplicite di Rodriguez-Lopez, è evidente la volontà della band di mettere tutto in gioco, senza risparmiarsi nulla, nell’apparente impossibilità di mescolare metriche fastose con diluizioni settiche ed allucinogene.
Perversità psichedeliche rintracciabili con certezza anche nelle successive Wax Simulacra, violento single apripista di matrice hardcore, e Cavalettas, solo per citare i momenti più notevoli.
Maniacali, aggressivi, contorti e nevrotici, i Mars Volta, ancora una volta, riescono a concentrare intuizioni e soluzioni in un unico, (quasi) perfetto, lavoro dal respiro trascinante ed epico, sfrontato come solo la consapevolezza dell’assenza di mezze misure può consigliare.
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