Quest’anno le celebrazioni si sono sprecate: siamo passati dalla pace di Versailles alla caduta del muro. Fino a Woodstock, evento rock per eccellenza della storia musicale mondiale. Le frasi fatte preferiscono però ricordarlo come epiteto di “un’epoca di sogni” ed “illusioni mai più realizzabili”. L’anno era il 1969, crocevia importante della storia culturale dell’Occidente: il punto di svolta in cui la storia avrebbe potuto prendere una infinità di direzioni, ma ha preferito prendere con comodità quella del riflusso.
Circa 40 anni dopo, con una grossa faccia tosta, abbiamo avuto in 12 mesi una miriade di produzioni per il quarantennale che puzzano di aggressive marketing. Ecco Ang Lee cimentarsi con Motel Woodstock, una ridda di voci sulla possibilità di celebrare un mega concerto mai tenutosi e tutta una serie di libri sul tema. Molto interessante è stato il lavoro di Ernesto Assante e Gino Castaldo sul tema, dal titolo abbastanza emblematico: Il Tempo di Woodstock. E non tanto per l’accurato lavoro storiografico che ripercorre l’evento dalla sua ideazione al suo dissolvimento finale, quanto per una serie di considerazioni ulteriori che ci vengono in mente. Sappiamo tutti della situazione sociale degli Stati Uniti negli anni della Guerra in Vietnam, abbiamo ripetuto fino alla noia la genesi dell’evento nel luogo di Bethel, abbiamo radiografato alla perfezione la generazione hippie che ha affollato la manifestazione. A furia di girarci attorno non abbiamo notato però la trave che sta negli occhi di tutti: la musica. Gli artisti. Coloro che hanno partecipato sul palco a quell’evento, rendendolo magico ed intramontabile negli anni a venire.
Mi sono ritrovato una sera di ottobre alla presentazione romana del libro, presso una biblioteca sulla Nomentana. Assante scappa via dopo 10 minuti per evitare il traffico, Castaldo parla a braccio con un proiettore che spara immagini dell’evento. E’Woodstock, di Michael Wadleigh, e ci dispiace tanto per Ang Lee ma è tutta un’altra cosa vedere un documentario storico del genere in confronto con il suo prodotto commerciale. Attorno a me noto qualche cinquantenne capellone, una coppia di trentenni inoltrati che sembrano Beavis and Butthead: al massimo in sala potremmo essere una decina. Mi chiedo cosa ci faccia qui, mentre Castaldo prosegue la sua analisi sociologica della società americana per cui può benissimo bastare la visione di un Easy Rider qualsiasi. Ad un certo punto ecco la scelta: mostrare le scene ed ascoltare il suono dei magic moments del concerto. Finalmente si parla di musica, e non di una musica qualsiasi, ma La Musica con la M maiuscola, quella in cui ci si ferma un attimo e ci si chiede se si sta ascoltando una nota oppure se ci si trova di fronte ad un opera d’arte od ad una epifania divina. La scaletta ricade naturalmente su Joe Cocker e la sua cover di With a little help from my friends. Scelta per individuare lo spirito collettivo dell’evento. Ecco poi Crosby, Stills, Nash & Young, ma se avessi dovuto scegliere io avrei preferito gli Who di My generation od i Jeffeson Airplane. Non poteva naturalmente mancare Dio con la sua Stars Spangled Banner, vale a dire il genio assoluto di fronte ad un alba lunga, infinita, che ti fa sentire in vuoto della fine. Sotto di lui le macerie di un evento che ormai fu, e non ritornerà mai più.
Anche perché l’illusione dura pochissimo, il tempo di Woodstock è un surgelato che scade giusto tre mesi dopo. Dal 18 agosto al 6 dicembre è la fase del dormiveglia prima del risveglio, quando i fantasmi di Altamont vengono a disturbare il sogno di pace ed amore che tenta di diffondersi echeggiando da Bethel. L’era del tutto è possibile finisce. E’ bastato un servizio di sicurezza affidato agli Hells Angels, i Rolling Stones nella fase più diabolica della loro storia, una dose aggiuntiva di droga od un mix micidiale, una pistola sbandierata sciaguratamente ed un arma bianca. E’ per questo che Meredith Hunter è morto quella sera, mentre Jagger cantava con una coincidenza ed un tempismo storico perfetti Symphaty for the Devil ed Angel Passaro si preoccupava della sua incolumità con un coltello che sembrava un ascia. Ed è per questo che io nel 2009 non celebro né Versailles, né la caduta del muro e né Woodstock: preferisco ricordare Meredith Hunter diciottene ucciso ad un concerto, forse la prima vittima della cultura hippie e del tempo di Woodstock. Da questo momento, ora, il riflusso può anche cominciare.
apr 08
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