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gen 30

Breton – War Room Stories

Fino a qualche anno fa concepire dischi per i Breton appariva quasi una fra le molteplici ricerche che si caricava in canna e che su tutte trasmetteva un’ idea più diretta di modernità. Laboratorio con tutti gli attributi – anche se a voler essere fiscali solo per il progetto BretonLABS – quello del quartetto londinese che prende si può dire piede all’incirca 5 anni fa: Roman Rappak, studente al London college of communication si dà ai corto e trova in Adam Ainger un valido e squattrinato sodale. Solo in seguito, grazie all’apporto di Ian Patterson e Dan Mcllvenny, i Breton diventano i Breton, cioè una band e iniziano a farsi conoscere e a raggranellare qualcosina. Il tratto visual d’ora innanzi si confronta col mezzo musicale con dosi ritmiche che grattano un po’ dalle pareti del dubstep e dall’elettronica pop, un po’ dalla stanza di fianco dove sonnecchia l’hip hop e, di volta in volta in base alle risorse in loro possesso, da ambienti e campi fisici che rinsaviscono con correità da una parte e rigetto dall’altra. Se definirli collettivo è un tantino eccessivo siamo comunque sulla retta via; per ora ci si limita a commesse di videoclip per altri (Temper trap, Lana Del Rey, Tricky), lavori di remix, tanti EP e due full length. Tuttavia progetti di questo genere, difficilmente rubricabili in una specifica disciplina figuriamoci in uno stile, promettono sempre bene in fasi successive dove l’ampiezza delle prospettive diventa estesissima. Other’s people problems uscito un anno e mezzo fa riassumeva i pochi anni di iterazione musicale riconsegnando input gratificanti laddove si concedeva spazio al caos. War room stories appena edito da Fatcat riprende il coro che ha segnato l’album precedente: elettronica che scomoda tutte le manopole della consolle e rimpolpa i cavi con samples di basi classiche, lunghe armonie ambientali, lunghi strati quasi cold wave senza che questi irrompano per nessuna muraglia. Nulla di assolutamente nuovo, nulla di assolutamente vecchio. Spesso accostati ai Money, ai Wu lyf, ai Klaxons, i Breton hanno derive leggermente diverse, perchè i testi di Rappak pescano dalla violenza urbana e si riempiono di devianze, allontanandosi di gran lunga da visioni kitsch metropolitane e dalla paranoia post industriale di Manchester. Il risultato risente di questa immersione in una realtà che va mano mano increspandosi in una specie di camuflage. Il distacco o il passo doppio nell’astratta gassosità viene interpretato come battuta a quella disumanità e non usato come base di inizio, casomai come punto d’arresto, ma questo a ben ascoltare è vero solo in parte e non caratterizza l’insieme. National grid potrebbe compendiare il gusto per il gelido come per il tropicale, 302 Watchtower per le dilatazioni e Brothers per gli aromi glitch. Nella bellezza degli esiti che si va ad incontrare passo passo, si ha sempre la spiantata sensazione che non proprio tutto sia messo a fuoco o che alcune dinamiche rimangano fuori non so quanto volutamente, ma è forse la gradevolezza più compiuta che nel tempo dato il quartetto riesce ad esprimere, in attesa che il cielo si schiarisca un po’.

Label – Fatcat
Anno: 2014
Genere: Experimental elettro pop

Tracklist

1 – Envy
2 – S4
3 – Legs & arms
4 – Got well soon
5 – Closed category
6 – National grid
7 – Search party
8 – 302 watchtower
9 – Brothers
10 – Fifteen minutes

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