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feb 25

Trentemøller live @ Estragon (Bologna)

Trentemøller

Trentemøller

Dopo essermelo perso in un paio di occasioni buone, ma avendolo visto in djset nel lontano 2007 in una centrale elettrica dismessa in quel di Bardonecchia, a questo giro sento il dovere morale di partecipare alla performance di Anders Trentemøller, questo danese che mi ricorda un pò Frankestein (in senso buono eh, s’intende!) nell’aspetto, ma che tanto, ma tanto tanto tanto mi aveva colpito prima coi suoi primissimi singoli e remix, poi definitivamente con il suo primo album The Last Resort, e a dirla tutta un po’ meno coi suoi due ultimi lavori in studio. Partiamo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia causa kebabbaro lento nelle ordinazioni, un bel gruppone di amici e amiche alla volta dell’Estragon di Bologna. Al nostro arrivo poco prima delle 22 già tanta gente nel locale in ascolto di un sconosciuto individuo che spara un live set con sonorità molto somiglianti al danese protagonista della serata, ma ovviamente si intuisce che non è già lui ad esibirsi; ad ogni modo mi chiude il set con un remix di un brano dei Radiohead, probabilmente Nude, un prodottino ben confezionato che merita il mio plauso, e prepara il numerosissimo pubblico (a stima un migliaio di persone c’è) con la giusta carica per affrontare il concerto dell’headliner. Bisogna attendere però una mezzoretta per vedere l’arrivo sul palco di Anders e soci, il suo solito batterista-metronomo che funziona a birre Moretti in quest’occasione, un chitarrista incrocio tra un dandy londinese e un becchino irlandese ma anch’egli altissimo, ed un paio di ragazze di intuibile bellezza nordica alla seconda chitarre al basso. Sì, intuibile perchè il concerto per buona parte della sua interezza è un concerto d’ombre: la scenografia è basata su luci stroboscopiche piazzate sul retro del palco che illuminano frontalmente, esaltando appunto le figure della band, ma mostrandone praticamente mai il volto e le conseguenti espressioni facciali; integra il tutto un curioso quartetto di gigantesche lampade Ikea (chissà, forse per fratellanza con la Svezia), probabilmente la “dudero”, che si sollevano solo in precisi istanti, e pulsano di spirali rotanti illuminate da riflessi multicolore. Insomma, un palcoscenico che non offre giustamente grandi distrazioni, perchè il focus di tutto è la musica, un rovente calderone di elettronica in salsa rock, quasi post-rock, accompagnato da un soffrittino di techno risalente ai primissimi dischi squisitamente dancefloor oriented di Trentemøller. Ho quindi sin da subito la conferma che il mio pregiudizio riguardo un concerto un po’ soft visti i suoi due ultimi lavori sulla lunga distanza in studio, è del tutto sbagliato: il quintetto si presenta al pubblico con un’energia inaspettata, una carica e una voglia di coinvolgimento senza pari, un groviglio di suoni supportato da una pacca di basse frequenze senza precedenti. I brani che vengono proposti non suonano affatto uguali alle registrazioni, si percepisce una formula live creata per l’occasione, e la mia stima nei confronti di questo produttore-dj-musicista aumenta a dismisura in pochissimo tempo. E allora dagliene Anders, confermami che la tua non-bellezza fisica è compensata da una innata bravura e genialità come ho sempre pensato… e se la prima parte di concerto getta le basi per poter dire che sto per assistere ad uno dei migliori concerti in assoluto in vita, quando poi arriva quel break in cui rimani solo Anders, e con uno xilofono mi suoni Miss You, e poi arrivano tutti i tuoi compari, e da moderna ninna nanna che vorrei utilizzare per far addormentare i figli che avrò in futuro, tu me la trasformi in un’escalation di energia… bè Anders, lasciatelo dire, tu come musicista hai veramente le palle cubiche. Certo, ti fai gioco di una serie di collaboratori non da poco: il tuo batterista è una macchina, una mitragliatrice al quarzo, il tuo chitarrista principale mi sfodera degli assoli da paura con quel suo fare così saccente che mi sta quasi sulle balle, le tue due donzelle accompagnano il tutto con determinazione, mi sfoderano un balletto kraftwerkiano in un brano, e poi una delle due che si rivela essere la tua cantante ha pure quella voce che risulta essere colonna portante di tutto il tempio sonoro che hai messo in piedi… e poi ci sei tu, maestro di cerimonia, che con quelle tue tastiere, quella tua effettiera che mi elabora suoni dolci inacidendoli con contorni technoidi, quel tuo muoverti e protenderti verso il tuo pubblico, aizzandolo a dismisura, quella tua mano che ogni tanto si alza sullo stile di un vero e proprio direttore d’orchestra… bè caro il mio Trentemøller, tu mi stai proprio rapendo orecchie, cervello e anima. E cosa mi tiri fuori quando ad un certo punto parte un esemplare riff di Lullaby dei Cure, che si trasforma poi nella tua Moan? Vuoi forse sgomitare tra Prodigy, Chemical Brothers, Radiohead e Daft Punk per posizionarti sull’olimpo della mia personale classifica dei migliori live ai quali io abbia mai assitito? Ce l’hai fatta Anders, senza ombra di dubbio ti meriti un podio. Più di un’ora e mezza in cui mi hai rapito, in cui i miei occhi erano estasiati nel seguirvi e le mie orecchie sono state cullate dalle tue creazioni facendo pulsare il mio cuore che in più occasioni pompava sangue ai muscoli per farli muovere al tempo dei tuoi bassi, mentre il cervello vagava pensando che ti meriteresti spazi ancora più grandi di un semplice Estragon. Proprio per questo, spero di avere ancora presto a che fare con te, che sia con un tuo nuovo remix o meglio ancora con tuoi brani originali o addirittura un album (anche se ci insegni che vuoi prenderti i tuoi tempi), o meglio ancora in questa dimensione live in cui ti ho scoperto da poco, ma che è quella che rende al meglio il tuo stato d’artista. A presto Anders, a presto…

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