A quanto ne so io esiste un’inerzia mediterranea, sarà la lunghezza dei suoni o dei viaggi – strampalati o no fa poco scarto oggi – che quei hz producono e che trasbordano poi ad una idea di otium, ma sicuro non è l’unica poltrona comoda del mondo su cui trascinare chiappe e schiena. Oggi la comodità non te la concede nessuno, le generazioni si fanno strette strette come maglie lavate a programmi sbagliati e i commensali ritornano sempre a mani vuote dopo una giornata di fatica. Siamo circondati dai mille tutto; mille campanili, mille piazze, mille pizze e mille ragazze, mille politici e mille partiti, mille cantanti e mille disgrazie. Ogni regione ha la sua pletora di menestrelli e ora che il cantautorato s’è esautorato non facciamo altro che inventare parole, fare ricognizioni e distrurbare la quiete pubblica. Jocelyn Pulsar è il moniker dietro cui si cela da una dozzina d’anni la faccia pelosa di Francesco Pizzinelli e la sua band e per ora ci siamo più che abituati a sentirlo, a rendergli meriti di una prosa bella e divertente, costellata di pensieri agrodolci, ma non parlerò di unicità ora, derivazioni poi, origini e comunioni perchè i commensali, e ci risiamo, sono sempre gli stessi dalle tasche vuote, la grana, quella bastarda di cagna corruttibile, gira sempre dove non deve girare. Ma se ci trovassimo nel bel mezzo di una crisi di sovraproduzione discografica e dovesse occorrrere una cassetta degli strumenti, sicuro Francesco sarebbe un ottimo prontuario per i momenti difficili, dove tutti hanno tutto e in realtà non c’hanno capito una banana. Ascoltarlo viene sempre di lusso, in una stanza al chiuso come su un prato inzuppato di città, la mattina certo – come potrei dimenticare la mattina – poco di sera, quella no, perchè la gente dritta di sera ascolta qualche pianista neoclassico tedesco che ripete un pattern per 20 minuti, sai che roba. Pulsar però chiude i battenti con questo ep dal solito tenore, frutta fresca nel backstage, per dare spazio in futuro ad altre idee e progetti. Ora, chi è dalla lacrima facile cambi subito pagina web per un altrove che qui non è aria e poi diciamolo pure: per chi conosce il di cui sopra sa benissimo come la nostalgia sia solo un altro spruzzo per raccontar gabole della vita, senza con ciò sbrodolarsi nella noia domenicale-pre disoccupazione post-adolescenziale ultra-sentimentale. I dettagli sono importanti e Rovigo, come canta a tempo Francesco, è solo la parte di un tutto, come postare legno per voler dire barca; è una tra le troppe città abitate, che poi ai nostri occhi di cittadini nati e cresciuti, ci sembra quasi sempre vuota per non dire inutile, quando inutile non lo è mai il vuoto, anzi a pensarci bene…e alzi la mano chi non si è mai trovato nella medesima condizione umana di Gatto o Scomparire, tracce che si cullano sulla nenia e sul respiro finale o di Arkanoid dove l’ozio, quello latino per intenderci, si concede una scossa elettrica meravigliosa e si sofferma su un’idea, se pur sempliciotta o poco articolata, di cosa sia oggi un rapporto tra neuroni umani e chip microemozionali, vanagloria da pianura padana e virale siliconato. Contattato su Facebook Francesco mi ha ordinato di parlare malissimo di questo suo saluto all’Italia e spero proprio di esseci riuscito. Col cuore e con la mente.
Genere: indie pop
Anno 2014
Label: Fosbury records
Tracklist
1 Dimenticare Rovigo
2 Gatto
3 Scomparire
4 Arkanoid
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