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apr 08

DiD – Kumar Solarium

Kumar Solarium

Dall’ascolto di Subsonica, Disco Drive e tanta altra gente si capisce bene che c’è fermento elettrico particolare in Piemonte. E per tanta altra gente intendiamo naturalmente i DiD: anche perché sono quattro (Guido Savini, Giancarlo Maresa, Andrea Tirone ed Andrea Prato). Anche perchè  vengono dalla città con le più profonde influenze dance nella penisola, quella Torino che sembra elettrizzata alle pendici delle Alpi. E, tra live memorabili, vestiti gialli e suoni sporchi si sono guadagnati un bel contratto con la Foolica Records, con la quale hanno fatto uscire lo scorso 9 ottobre il loro primo lavoro. Si chiama Kumar Solarium, e segue i due Ep pubblicati dalla band torinese Ask U2 e Time for shopping. Genere? Ma possibile che andiate sempre alla ricerca di definizioni? Facciamo così: loro si definiscono yellow punk funk e noi ci adeguiamo volentieri a questa curiosa definizione. Anche perché dall’ascolto, al massimo che sarei arrivato a classificarli con le mie scarse capacità intellettuali sarebbe stato in quel calderone disco-punk nei quali James Murphy ed i Dewaele si mescolano di continuo. Per cui non possiamo che dirci sicuri della bontà della scelta dei DiD.
Partiamo con Hello Hello che ci saluta con una certa bruschezza, perché i DiD hanno fretta, non hanno tempo per i convenevoli (hello if you’ve got the time) ed hanno subito voglia di fare bordello a qualche festa. Subito dopo il singolone Time for shopping: estasi pura, incrocio punk funk da pompare ad un volume adeguato, con effetti dance che salgono man mano che il pezzo incede. Oltretutto gran bel video. Solarium invece si mostra ancora più dance, sospinta da effetti da pista (quella da ballo che avete capito?) ed una originale linea di chitarra. Another Pusher Blues strascica fuori da non si sa dove per insinuarsi nella profondità della tua pelle, con bassi pulsanti come campi magnetici giganti mentre Back from the outside spinge su un funk che più elettrico non si può. C’è anche un fischietto a ricordare le origini italiche della dance dei DiD. Ma non si più nemmeno sottacere le influenze di certa new wave inglese sponda Manchester. Basta sentire Ask U2 dove si intrecciano echi delle chitarre di Bernard Sumner nelle fasi più dance dei New Order: e per deformazione professionale (e personale e mentale) questo resta uno dei pezzi più belli del disco dei DiD.
Ma forse mi sbaglio perché in Sex sometimes i DiD iniziano a fare sul serio ed entrano nei territori no-fi di New York per uscirne ogni tanto con aperture di profonda intensità umoristica e psichica. Facciamo questo il pezzo migliore? Da Breakdance, passaggio a livello obbligato dai bassi dei Maximo Park, passiamo a Saturday Night, dove si affacciano i Rapture per un veloce saluto prima di andare a fare un aperitivo, una passata al bar ed una puntata in disco quando sono già abbastanza sbronzi. Tanto non guida nessuno, qui ci facciamo guidare solo dal ritmo, con tanti saluti all’alcool test. In Crazy Yes invece il post punk ed i vorticosi giri di basso prendono il sopravvento, mentre Babe Precious Thing ci crea un tappeto di suoni adeguato per accomodarci in relax dopo l’ultimo drink, ma poi va a chiudersi come farebbe un pezzo dei Depeche Mode, senza i lamenti di Dave Gahan, con una ipnotica sequenza strumentale che intorpidisce le membra. Ottimo modo per finire il disco.
Questo disco-disco è un altro bel colpo assestato dalla Foolica, ed i DiD sono un’altra band per la quale varrebbe la pena spendere maggiori parole d’elogio in un Paese ormai assuefatto alla mediocrità. Ma visto che non servirebbe a nulla, vi resta solo da comprarvi il disco-disco, ascoltarvi il disco-disco ed andate a vederli (non in disco). Possibilmente vestiti di giallo.

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