Scena esterna. Il sole picchia forte su una vasta e desolata fascia di territorio desertico, arso dall’olocausto nucleare in cui i nostri Governi ci hanno spinto dopo aver esaurito tutte le risorse energetiche disponibili. Per l’ultimo grammo di uranio è scoppiata una guerra preventiva che ci ha condannati tutti senza appello: manipoli di uomini girovagano senza meta apparente. Eccone due che si guardano in giro in cerca di qualcosa: uno ha il profilo orientale e scopre un trolley vicino ad una roccia. Lo apre e vi trova dentro una complessa strumentazione elettronica ancora funzionante, dotata di synth, riverberi e quant’altro. La sua gioia è immensa ed inizia a danzare su ritmi tribali in una sorta di orgiastica devozione inneggiando il nome di una divinità molto adorata nella lontana epoca post-moderna: Alec Empire. L’altro, con una camiciona a quadrettioni tipica di certe band grunge di qualche centinaia di anni fa, recupera invece una tastiera, un mangianastri bianco per l’infanzia ed un microfono mal funzionante e distorto che gracchia come Sandro Ciotti durante una telecronaca. Riesce a far funzionare tutto miracolosamente ed entrambi decidono di dare voce al lamento di un pianeta devastato dai propri Suicide.
Scena interna. In un futuro imprecisato i due ragazzi sono divenuti i Fuck Buttons devastando tutto quello che intercettavano. Dopo aver prodotto Street Horrsing e Tarot Sport per la ATP Recordings, Andrew Hung e Benjamin John Power sbarcarono al Circolo degli Artisti, per una di quelle serate post atomiche tipiche della città di Bartertown, dove briciole di umanità cercavano invano di resistere alla follia dell’autodistruzione umana. Non ci mettono molto a capire le regole del gioco: saliti sul palco e soppiantati gli scialbi HTRK, devastarono l’aria attorno all’uditorio elettrizzandola fino a farla implodere. In una successione di drone continui eccoli sparare Okay Let’s Talk About Magic, friggendo la testa alle persone sotto il palco; Bright Tomorrow, che spostò la gente in una dimensione etemporanea a quella che stava vivendo. Riuscirono finalmente a vedere il nostro pianeta per quello che veramente era, pieno di colori, vita, piante, acque, forme animali. Poi ecco il lampo finale, il drone improvviso, ecco l’implosione che ricordava al pubblico che è tutto finito. La realtà post moderna. Carlo mi disse di scrivere acid freak techno tribal: io pensavo solamente alla testa che mi esplodeva mentre Surf Solar mi spostava dieci metri più in alto.
Ogni tanto Ben prendeva a martellare una cassa per ricordarci che nel futuro in cui stavamo andando, saremmo divenuti diventeremo finalmente una tribù globale, senza confini ed accomunata dalla passione per l’elettronica. Tutto il locale danzava estasiato. Quando ad un certo punto partì Sweet Love For Planet Earth ed allora capimmo finalmente tutto: noi che questo pianeta lo abitavamo e volevamo viverlo ancora, ci arrendemmo al padre suono, al figlio ritmo ed allo spirito santo rumore e ci dichiarammo sconfitti di fronte alla potenza muscolare dei Fuck Buttons. D’altronde la regola diceva due combattono ed uno vive. Ed i Fuck Buttons dimostrarono senza remore chi comanda veramente a Bartertown. Almeno fin quando non fossimo riusciti a fare pace con il nostro pianeta ed a trovare finalmente la città del domani domani…
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