Germania, Berlino, giovedì. Una giornata di gran caldo. Qualcuno sostiene sia colpa di noi italiani che, gonfi di alta pressione, riempiamo i vuoti lasciati dalle famiglie in BMW e Birkenstock che siamo soliti vedere sul Garda. In molti si sono convertiti al cattolicesimo dopo che il barometro ha toccato i 28 gradi. Facebook era inondato da immagini prese dalle app meteo degli smartphone, glossate da frasi quali “dio esiste” o “le mie preghiere sono state ascoltate”. Solo uno dei tanti miracoli cui assistiamo passeggiando lungo la Sprea. Il nostro personale incontro col piano divino è avvenuto invece al calar del sole, al Festsaal Kreuzberg, con l’intercessione del collettivo Killekill che, grazie ai suoi santi in paradiso, è riuscito a tirare giù dalla Svezia il nibelungo The Field, accompagnato da altre icone di devozione i cui prodigi troverete qui di seguito descritti.
Ad aprire la terza serata del Krake festival è toccato al giovane Rudi Zygadlo, scozzese dal cuore caldo che, con grande coraggio, si è dato in pasto agli scettici. Le sue proposte musicali rientrano a tutti gli effetti nel dubstep, coi suoi bassi morphati e le sue clip lanciate a tradimento con un click dalla plancia rigorosamente Akai, ma le strutture musicali sono quelle della pop song, sorrette dalla sua voce, ora nuda, ora vocoder. Artista vero, quando dai controller passa alla tastiera, regalando refrain corroboranti, da tazza di tè mentre si guarda fuori dalla finestra col brutto tempo. Gli applausi degli spettatori vorrebbero trattenerlo sul palco, ma i tempi tecnici sono tiranni, anche perché lo stage del Festsaal si trasformerà più e più volte nel corso della notte, dimostrando una grande flessibilità degli spazi e la professionalità tutta tedesca dell’organizzazione. Da Glasgow passiamo a Bristol, rappresentata dal dark electro-pop di Emika. La sua voce è un gioiello immerso nel catrame nerissimo delle sue basi ballabili. Ci ricorda tanto Roisin Murphy, con la sua combinazione di sensualità, estro e delicatezza. Meravigliosi i suoi intermezzi voce e tastiera, con atmosfere da titoli di coda di David Lynch. Anche le luci del palco se ne accorgono, alternando il blu al rosso.
Usciamo per un break. Ci prendiamo i nostri tempi fra appuntamenti U-Bahn e snack turchi. Ok, confesso, ci sbrachiamo un po’. Torniamo allora trafelati al Festsaal sicuri di essere in ritardo per il prossimo artista ma arriva la smentita. Sul palco si lavora alacremente per trasformare un electro party in un arena rock. S-concerto! Ampeg! Tama! Wurlitzer! Che succede? E’ il momento del math rock dei Three Trapped Tigers. Dio come ti amo, Berlino! La musica dei TTT è una sconvolgente botta di adrenalina. Tempi sincopati dei primi (e ribadisco, primi!) Battles e power chords dei migliori Torche ci tolgono completamente il fiato. Incredibile il lavoro di Adam Betts alla batteria, che non si ferma mai, neanche quando, bacchetta in pugno, programma pad e drum machine e affidando alle sole gambe & braccio sinistro le complessissime architetture ritmiche richieste dal riffaggio dei suoi colleghi. Non vanno via senza aver eseguito un reclamatissimo bis che versa altra benzina sul fuoco. Alla fine della performance siamo euforici e carichissimi per l’avvento di The Field, il dio nordico del suono. Ma anche qui rimaniamo di sale quando, dopo la solita pils con una elle sola, notiamo che sul palco la batteria e gli amplificatori dei TTT non sono spariti, ma solo spostati ai lati per fare spazio, al centro, ad un glorioso xone:464. Un altro live? Possibile? Cazzo, sì! The Field si presenta con giubbotto jeans, basette e due turnisti al basso e alla batteria!!! Aaargh! La sua miscela di trame techno so 90’s si arricchisce del commento vivo e umano di pelli e corde. Eccezionale. I brani, sull’ossatura granitica di loop acidi degni degli Orbital, crescono frase dopo frase su microvariazioni che inducono alla trance. Ma come descrivere la ricchezza e la forza della sinergia dell’esecuzione? Giri hypno-funk al basso e gli space synth di un Lindstrøm si accavallano su rullate da crescendo psichedelico degli Iron Butterfly… Improvvisi stop dei musicisti seguiti da bombardamenti acid house e quell’inconfondibile non-so-che dei filtri analogici Allen&Heath dosati con la consapevolezza di un maestro del mixer dall’imperturbabile Axel Willner e poi… il bassista passa lo strumento al Dj e sfodera la chitarra!!! The Field e le sue basette trasfigurano: non più il producer della Kompakt ma un novello Lemmy dei Motorhead chiude il concerto al basso!!!! Balliamo senza sosta come fossimo al Tresor ma mandiamo il mondo affanculo come faremmo al CBGB. Pianeti in collisione. Quando The Field & co. ci salutano siamo saturi e sotto shock. Dj Scotch Egg e i sui GameBoy potete guardarveli su YouTube. Noi non riusciamo nemmeno a ricordarceli. Eclissi.
1 commento
Closer
20 agosto 2011 a 18:22 (UTC 1)
vogliamo le foto di charlie!