A volte penso che ci vorrebbe una raccomandazione dell’Onu, o meglio, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che metta al bando ogni tentativo di ricostruire un gruppo dopo la perdita di un componente fondamentale. Certo, gli interessi sono tanti, quelli musicali un po’ meno, quelli monetari un po’ di più, e l’operazione che ha portato alla ricostituzione degli Alice In Chains dopo 14 anni di lungo silenzio puzza di commerciale anche al di qua dell’Oceano Atlantico. Non ce ne vogliano Jerry Cantrell, Sean Kinney e Mike Inez, a cui ci accomunano decenni di roba prodotta da loro ed ascoltata giorno per giorno dal sottoscritto, che orfano di un biondino che decise di spararsi in faccia invece di continuare a fare musica, decise di affidarsi alle loro sapienti mani invece che a quelle melodrammatiche di Eddie Vedder. E non ce ne voglia nemmeno William Duvall, chiamato alla missione impossibile di sostituire una delle più grandi voci e degli animi più straziati che quel micromondo musicale di Seattle avrebbe mai conosciuto. E forse già in questa incomprensione si celano i veri problemi di Black Gives the way to blue.Che parte comunque bene con All secrets known, che ci rimette nella carreggiata musicale che Jerry Cantrell aveva abbandonato molti anni fa, e l’apparizione della voce di William DuVall non sembra poi così male. L’ex cantante dei Comes with the fall e di molti altri gruppi di Atlanta con cui ha suonato dal 1980 in poi, sembra immedesimarsi alla perfezione nel ruolo di alter ego di Layne Staley, anche se non riesce a dare quella profondità sporca e gracchiante che scartavetrava le orecchie durante l’ascolto di Grind. Ma ti viene un coccolone a riascoltatre dopo tanto tempo Jerry alla chitarra!!! Check My Brain alza un po’ la posta in gioco e risulta in definitiva un buon pezzo, con un intro da veri Alice ed un ritornello che si sposta da Seattle verso Los Angeles (come ha fatto proprio Cantrell), allargando gli orizzonti verso l’alternative rock degli Stone Temple Pilots di Scott Weiland del periodo di fine millennio, quelli di No.4 per intenderci. Se la genialità artistica di Cantrell resta indiscussa, le soluzioni vocali di DuVall cercano di adeguarsi alla meglio: si sciorina alternative rock a piene mani come dimostra Last Of My Kind, mentre Your Decision vorrebbe ricordare i tempi di Jar Of Flies, quando i “veri”Alice in Chains erano in grando di andare su MTV e creare l’unplugged più bello della storia musicale su uno schermo televisivo. Ma i risultati sono incredibilmente lontani. A looking in view ritorna sui terreni più metallari di Dirt ma con meno sperimentazioni ed un tocco di classicità in più come si evince dalla variante proposta al ritornello. La parte finale risulta molto accattivante, risuona come i vecchi Soundgarden di Badmotorfinger: forse il pezzo migliore. Poi succedono cose strane, come When the sun rose again, una ballata sciatta in cui l’assolo di Cantrell fa il paio a quelli di un Santana qualunque. Poi Acid Bubble, lentissima apocalisse un po’ svogliata che si sveglia dopo 3 minuti per una violenta scarica sonora prima di ritornare al suo andare arpeggiato per la sua strada. Da sola. Noi restiamo invece restiamo qui a chiederci perché il tempo ed il fato ci abbiano portato fino a questo punto. Una domanda che prosegue per il resto del disco: Lessons Learned prova a tenere un po’ alta la media del giudizio, sempre grazie alla chitarra lancinante di Jerry, ma Take Her Out si (e ci) affloscia irrimediabilmente, mentre Private Hell prova con dolcezza a convincerti e la titletrack quasi ci riesce, ma è questo il punto: doveva proprio venire Elton John al piano per salvarti il disco? A farti fare un effetto funerale degno di Lady Diana?
Non c’è più salvezza. Nemmeno prima c’era, solo che a differenza di adesso, qualche anno fa della salvezza agli Alice in Chains non gliene fregava nulla, anzi, ricercavano deliberatamente il dolore, la fine. Qualcuno l’ha pure trovata, dando un senso a tutto quel male di vivere che serpeggiava e continua ancora a serpeggiare nell’animo della gente. Per questo già dal titolo Black gives the way to blue non può essere un disco degli Alice In Chains. Almeno io non ci credo. Elton John al piano in un disco degli Alice in Chains…Chissà le risate che si sta facendo Layne da lassù…
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