premessa:
non adoro Le Luci, anzi, nonostante sia mio concittadino devo dire che lo trovo molto sopravvalutato, non capisco se a differenza mia ha capito tutto dalla vita o se ci è veramente; nonostante ciò, ammiro il suo successo ed evidentemente se è arrivato dove è arrivato (e gli auguro ancora tanta strada), un motivo ci sarà. Però è un motivo che non capisco, ma per carità, limite mio. Ad ogni modo ciò che più mi perplime è la stesura dei testi dei suoi brani, e questa recensione vuole essere un po’ esperimento, un po’ presa in giro, un po’ nuova modalità di testimoniare la mia presenza ad un concerto: cercherò quindi di descrivere la sua data “Tra Ferrara e la luna” scrivendo come penso lui scriva le sue canzoni. Sarà quindi una lettura difficile, a tratti autoreferenziale, forse insignificante, ma d’altro canto interessante perchè voi lettori potrete dare la vostra personale interpretazione, e forse è proprio questo il punto di forza dei testi di Vasco Brondi.
Arrivare tardi dopo le prove al Sonika, non so da quanto è iniziato il sicuro apostrofar di note, ma c’e un bel pò di gente, su Vasco con una ragazza che non è la mia e forse neanche la sua, c’e la band. Impasti molto meno paranoia degli LP a parte i testi, rimamenze lisergiche di parole accatastate di fronte a cassonetti del rusco in via degli Adelardi. Però è fico vedere un cittadino sul palco, essere una star in una notte dedicata alla luna lontana dalla Montedison; tanto è tutto vapore acqueo quello che esce dalle ciminiere.
Birra stavolta a tre euro, non penso solo ferraresi, balla come Billy Idol o come Billy Ballo ad una data degli Orange al Covo, arrangiamenti fighi, c’e la cassa dritta che soddisfa la mia voglia di dance all night, ermetismo ritmico non ce n’è più dai tempi della caduta del muro di Berlino ed io te l’avevo detto.
Stonato come una pietra scalciata, così lo possono cantare tutti e lo cantano tutti con le mani al cielo, essere nazional-popolari, maglietta della Moog di un avventore procacciato tra i pani e i pesci.
Le luci del palco della centrale elettrica mi danno fastidio e so che lo fanno apposta, Maria Antonietta bella voce, ma è l’antitesi dell’indie. C’è Peco che è uno che scrive su Rumore, gatti che dormono in maniera strana.
Emilia Paranoica all’improvviso ma neanche troppo, più techno, meno Tenco; posso scrivere parolacce, e se avevi i coglioni cantavi in inglese e facevi la cover delle Bananarama, bei suoni incastonati tra il giardino dei Finzi Contini.
Applaudo, faccio finta di non capirne un cazzo ma è la realtà. La magia che tutto non abbia un senso, ma ci sei o ci fai?
Perche il disco non l’hai fatto cosi? Sei il patrigno di Margaret Lee. Perchè i dischi non li fai tutti così?
La vera magia è Levante, anche se un bambino piange immeritatamente.
Il cambiamento in scaletta perchè dice di essere a casa sua ma in realtà è perche è senza fiato, ma tanto si capisce poco lo stesso, quindi le preoccuapazioni scorrono nel bancomat della mia intimità. Nel Castello ci stavano gli Estensi, le principesse e i cavalieri della tavola imbandita. Faccio comunista.
Dente acclamato, dente avvelenato. Le Luci accecate di ospiti che hanno corde vocali con diapason più precisi, anche se devo tornare a casa a piedi. Non mi hai mai fatto un vodkatonic al Korova, ma piaci alla gente, come mi piace la Ceres.
C’è caldo. Umarell sotto la palma, cervicale mia, come fa a ricordarsi tutte queste parole senza senso; bollette da pagare. Pensavo di aver scritto di più, sono sazio e ho fame. Vado a casa a piedi, pedoni sul lato opposto, lavori in corso, rubare una bici è difficile nella città delle biciclette. Lesbiche sul ponte levatoio del Castello, funzionari amministrativi che potevano anche pulirla l’acqua del fossato, che figura ci facciamo noi con le famiglie che vengono da città lontane 40 kilometri; non c’è più il turismo ma solo escursionismo. Provare sensazioni contrastanti, nei confronti dell’approccio con cui si pone l’artista, ma confermare il suo stato (non su facebook). Ridi male, ma sei testimone del disagio del giorno d’oggi e anche del giorno di domani, e ci sfoghiamo con te perchè facciamo finta di capirti. Vorrei capirti e forse se ci vediamo al Korova il vodkatonic te lo offro io anche se a prendere le banconote c’è sempre tuo fratello.
Come sempre grazie a Sara Tosi per le foto.
1 commento
Paolo
27 luglio 2014 a 11:44 (UTC 1)
Grazie di esistere, mi sento meno solo.