Mentre concludo la mia cena il clima diventa un pò incerto, perdo un po’ di tempo alla ricerca di un kway e morale della favola riesco ad arrivare con un minimo di ritardo anche stavolta. Mentre circumnavigo il Castello infatti, sento già la voce potente di George Ezra che conclude un brano al quale fa eco un boato di ultrasuoni composti di altissime frequenze che mi fa ipotizzare che il pubblico della piazza sia nettamente sbilanciato da una parte. Mi affretto, entro e ricevo subito conferma ai miei pensieri: tantissime ragazze, media d’età abbastanza bassa, gli unici ragazzi accompagnano le loro fidanzate, ma c’era da aspettarselo per una data come questa. Ezra fa tre o quattro brani con la sua band, fa ballare e si conferma come una delle voci più interessanti del panorama contemporaneo: è un nuovo bluesman, non esagera e non cerca di strafare, si lascia andare a una combo di altri tre brani più intimi, solo voce e chitarra, che incantano il pubblico (e non solo le ragazzine). Ma è ovvio che la gran parte della gente è lì per un brano in particolare, e proprio per Budapest c’è il trionfo degli smartphone, tutte a far video per immortalare quel brano, magistralmente eseguito e comunque d’effetto da sentire dal vivo. Un ultimo brano poi a chiudere una performance di circa 40 minuti, il tempo che basta per affermare che siamo di fronte ad un astro nascente, sperando riesca ad evitare la caduta in un mondo pop che lo allontani da quella vena blues che lo differenzia dal resto della massa.
Il cambio palco mi sorprende per la scelta della “musica d’attesa”, partono infatti a rotazione delle pietrate dubstep\elettroniche del calibro di Original Don di Major Lazer, per proseguire pochi pezzi dopo con i Does It Offend You, Yeah? per poi placarsi un attimo prima della salita sul palco degli headliner Bastille. Il tutto è un pò straniante, me ne capacito con difficoltà, assisto alla fiera del selfie, analizzo il pubblico, attendo un amico che arriva con sacchetti di caramelle distribuiti gratuitamente all’ingresso, cosa di cui non mi ero accorto. Caramelle? Sarà un espediente per accontentare una media d’età piuttosto bassa? Ad ogni modo pure io che sono sulla trentina ne polverizzo un pacchetto in poco tempo. Insomma, con incredibile puntualità sulla tabella di marcia, attorno alle 21:15 si spengono le luci su piazza Castello, è arrivata molta più gente, e partono le note della sigla di Twin Peaks a testimoniare l’affinità che la band ha con questa serie tv che scommetto essere sconosciuta a più della metà del pubblico accorso. Il registro è un pò quello della boyband, sin da subito le movenze del cantante Dan Smith somigliano a quelle del Justin Bieber di turno. Tutto ciò ha comunque l’effetto giusto sulle prime file, come mi racconta la mia fotografa di fiducia Sara Tosi, che mentre si fa un giro mi narra di episodi di pianto ed isterismo che si erano visti solo con The Fun e Arctic Monkeys. Nonostante questo non sia proprio l’habitat che prediligo, devo ammettere che i Bastille sanno il fatto loro, alternando brani che mi fanno un po’ sballicchiare, ad altri di natura più intima e d’ascolto che non mi dispiacciono affatto. I quattro inglesi si muovono bene sul palco, in alcuni momenti suonando un po’ fuori dalle loro postazioni canoniche, interagendo con percussioni e strumenti elettronici. Dan si concede anche una discesa dal palco e una scorribanda tra il pubblico in visibilio, ovviamente scortato da muraglie di omaccioni della security, ma indubbiamente un bel gesto per coloro le quali possono tornare a casa facendo schiattare di invidia le amiche millantando di aver toccato una star. A livello musicale in una scaletta piuttosto ridotta frutto dell’unico album all’attivo della band, spiccano sicuramente le due cover, quella sorta di reinterpretazione-mashup tra le TLC e The XX eseguita nella prima metà concerto, un ammiccare piacione che però mantiene lo stile del gruppo ed è quindi da apprezzare; la seconda è The Rhythm Of The Night di Corona, tormentone rifatto da tanti in tante versioni, ma che anche in questo caso viene reinterpretato ottimamente dai Bastille, donandogli quasi una nuova vita. Chiude lo spettacolo in maniera piuttosto ovvia, la scontata Pompeii, che apre il secondo capitolo della fiera degli smartphone, ma anche in questo caso ascoltare dal vivo un brano figlio dell’heavy rotation radiofonica attribuisce al tutto una percezione diversa e lo rende a tutti gli effetti un po’ speciale. La discesa dal palco della band ha la stessa colonna sonora d’apertura, che per un attimo mi fa pensare a quanto sia fottutamente geniale David Lynch.
Insomma, il mio giudizio finale è un pò sì ed un pò no, ma devo anche fare i conti con la mia personale attitudine al genere che non mi appartiene troppo: sicuramente una data azzeccata, un grande abbinamento se lo si interpreta soprattutto a livello commerciale, perchè all’interno di un festival come Ferrara Sotto le Stelle tutto sommato ci sta anche la data che strizza l’occhio ad un pubblico di più ampio respiro. Ad essere sinceri però, bravi Bastille ma lunga vita a George Ezra.
Anche in questo caso, grazie a Sara Tosi per le foto e per la preziosa testimonianza dalle prime file.
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