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apr 08

The Rakes @ Circolo degli Artisti

The Rakes

Ad essercene gruppi inglesi così. In una sola serata abbiamo recuperato un sacco di soddisfazioni che non si erano spesso rivelate in molteplici altri tentativi, passando dagli strombazzati Wombats (qualcuno se li ricorda più? come temevo…) ai Courteeners, eredi niente meno che degli Oasis, stando a certa stampa rivelazionista. Ma come diceva Daniel Plainview ne Il petrolierie, sono io la terza rivelazione. E vi dico che un concerto come quello dei Rakes se lo sognano sia gli uni che gli altri.
Manco dal Circolo da un bel po’ ed appena rientrato recupero Galla, compagno di trasversate oltremanica e sempre fedele supporter dei sudditi di sua Maestà, già con una birra in mano e qualche pensiero per me. Capisco già come andrà a finire questa serata a union jack. Ci siamo persi il gruppo d’avvio semplicemente perché qui qualcuno ha deciso che gli orari sono anticipati rispetto a sempre e quindi d’ora in poi si parte alle 21: si trattava dei Thank You for the Drum Machine, quartetto aretino composto da Nicola Violetti (chitarra), Gabriele Giovannini (basso), Riccardo Paffetti (batteria) e Riccardo Sensi (synth e tanta altra roba). Vi possiamo dire che hanno appena pubblicato il loro primo album New adventure on analog machines per Live Global/Self e che dall’ascolto di qualche pezzo in rete sembrano più orientati verso l’electro rock di gruppi come i White Rose Movement, senza disdegnare riferimenti a Soulwax (magari più quelli di Much against everyone’s advice che quelli di Any minute now) ed ad un po’ di funk che non fa mai male. Di più non vi possiamo dire, ma sembra che stiano in giro per un po’ su è giù per la nostra malandata penisola, magari se non siete troppo interessati alla tv di regime fate in tempo a scendere da casa ed andarli a vedere. Mi spiegherete meglio di che pasta sono fatti.
Si perché io nel frattempo devo le mie scuse ai Rakes. Avevo scritto che il secondo album non mi aveva appassionato tanto. Forse ero troppo distratto, per comprendere appieno che anche Ten new messages mi piace! Lo scopro ascoltando a metà concerto We Danced Togheter, attratto magneticamente dalle movenze di Alan Donohe (voce) e dai coretti di Matthew Swinnerton (chitarra), da quella mitraglietta al basso che è Jamie Hornsmith. Petersen alla batteria quasi non lo ho mai visto, mentre la new entry Chris Ketley si destreggia abilmente fra un’altra chitarra e la tastiera. Però…però i rastrelli sono venuti per presentare Klang. Ed infatti partono con The lights from your Mac, e poi suonano quasi tutto il nuovo album, dalla sfolgorante That’s the reason, alla appiccicosa 1989, che non ti si leva più dalla testa come una gomma sui capelli. Nel giro di due pezzi conquistano il Circolo: e molti gruppi vi confermeranno che non è semplice. Pubblico difficile questo, ma i Rakes hanno un chiavistello: i coretti da stadio, forse potremmo sostituire Seven Nation Army in curva con 1989. Ma forse meglio di no, sennò poi la cantano tutti e la sputtanano. Poi mi dovete comunque spiegare perché i pezzi del primo album restano sempre i migliori: e non dico solo per i Rakes, ma anche per molte altre band che spesso arrivano da Albione. Ed anche Capture/Release conferma inequivocabilmente questa tesi: 22 Grand Job è una delle tante hit di cui si compone l’esordio dei Rakes, e sembra scritta e suonata con assoluta facilità; Open Book si aggiunge al manuale da piccolo ultras d’oltremanica, alla pagina cori da cantare in trasferta magari mentre si ritorna dopo una sconfitta e la pioggia non ti fa vedere nulla sull’autostrada; Retreat pulsa come una vena impazzita sulla tempia per il troppo caffè, ma io ve le elencherei tutte, anche se fate prima a comprarvelo l’album. Con la sua lirica da working class urbana: Work, work, work (Pub, Club, Sleep) inoltre, ai più attenti non sfuggirà un messaggio sociale che è già presente agli esordi. Solo bollicine e freschezza giovanile? Non proprio, forse sarà passata inosservata, ma la versione di Binary Love è talmente stravolta da entrare immediatamente in quella terra di confine tra il post punk e la new wave, dove regnano incontrastati i Joy Division.
Ma poi si ritorna a rockeggiare: ed io devo altre scuse ai Rakes. Il bis affidato alla mirabile Strasbourg mi fa capire che il loro amore per la Germania prescinde dalla realizzazione del nuovo album a Berlino. Era fin dagli esordi che il fascino teutonico di una città divisa dalla guerra fredda aveva attirato l’attenzione dei 4: we’ll meet in Strasbourg!!! Eins, Zwei, Drei, Vier!!!

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