a cura di Gerardo Toscano
Se le parole sono importanti e i nomi delle lenti attraverso cui vedere l’essenza di cio’ che identificano, allora i Nut hanno pienamente soddisfatto le aspettative che puo’ suscitare la dea egizia che ingurgita il sole al tramonto e lo partorisce al mattino nella quale la band si riconosce.
Morte e rinascita, un ciclo continuo e infinito, il flusso continuo dell’esistenza; questo suggerisce Nut e viene da chiedersi quanto di questa scelta sia voluta e quanto semplicemente suggerito dalla loro musica. Dopo l’interessante e indicativo Ep Hapax, ovvero parola rara, la band alternative/progressive, attiva dal 2009, pubblica per Sinusite Records/Pogoselvaggio Records il primo lavoro full-lenght: Gravità Inverse.
Atmosfere rarefatte, chitarre graffianti dal gusto vintage e colori elettronici in giusta misura accompagnano, su un binario decisamente rock/new progressive, l’ascoltatore attraverso le sette tracce contenute in questo lavoro.
Molto curate le modulazioni e gli intarsi vocali, il tutto ben sorretto da ritmiche dilatate ma ossessive, particolarmente ben calibrate le chitarre di Matteo Sciocchetto, che è anche la voce della band.
Rispetto ad Hapax inoltre la band, pur mantenendo ben presenti le influenze di band quali Tool, A Perfect Circle, primi Radiohead, Muse e i nostrani Verdena su tutti, delinea uno stile molto piu’ personale e accattivante e appunto un equilibrio molto piu’riuscito tra le suddette influenze. Particolarmente belle Il Sarto e Mosaico che annoverano tra i ranghi e si sente, Nicola Manzan (Bologna Violenta) e Marina Mulopulos (Almamegretta, Malfunk).
Un’ opera prima ben congegnata, onesta, viscerale ma anche a tratti onirica nella quale il basso e gli effetti di Matteo Puoti e la batteria e l’elettronica di Matteo D’Ignazi si amalgamano molto bene nel supportare la voce del già citato Sciocchetto che dovrebbe pero’, unico appunto, sviluppare uno stile vocale maggiormente personale dato che a tratti ricorda un po’ troppo Francesco Sàrcina, cantante de Le Vibrazioni.
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