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apr 08

The Rakes – Klang

Klang

Ovvero come scappare da Londra, andare a Berlino e trovare nuove fonti di ispirazione (almeno per la copertina). Non che avessero inventato niente di nuovo, David Bowie l’aveva già fatto molti anni prima di loro, ma per i Rakes questo doveva essere una svolta fondamentale nella loro carriera musicale. Dopo il bruciante esordio di Capture/Release, il successivo Ten New Messages non ha convinto i più. Si sarebbe profilato forse un declino lento ma costante, come capita spesso per molte giovani band d’oltremanica e d’oltreoceano, protagoniste di superlativi debutti ma anche colpevoli di non mantenere il livelli di qualità e di costanza necessari per restare a galla senza affondare. C’è chi si monta la testa, chi si perde via via, ma non è certamente il caso del quartetto di Londra.
E così lo spostamento in Germania avrebbe dovuto ispirare ad Alan Donohoe (voce), Jamie Hornsmith (basso), Lasse Petersen (batteria), Matthew Swinnerton (chitarra) una maggiore incisività che riporti almeno ai fasti di 22 Grand Job od il post punk dancereccio di Retreat. I ragazzi della V2 li hanno lasciati fare, ed i quattro, in compagnia di Chris Ketley che li accompagna per un paio di pezzi al piano, si sono rintanati in un edificio che ospitava le trasmissioni tv dell’ex Germania Est. Atmosfere affascinanti, per chi ha visto Le vite degli altri, un po’ meno per chi le ha vissute veramente. Fatto sta che ne esce fuori Klang, uscito a marzo di quest’anno e che parte immediatamente con You’re in It: i riffoni sincopati sono marchio di fabbrica, ma si respira più art rock già dalle prime battute. Una certa somiglianza con le soluzioni vocali dei compagni di tour Franz Ferdinand affiora ogni tanto, anche se il brodo si allunga un po’ troppo. That’s the reason impenna grazie alla voce di Donohoe ed alle soluzioni geometriche della chitarra di Swinnerton, che chiude il perimetro rock come farebbe Pitagora con un triangolo isoscele. The Loneliness of outside smokers sembra la versione nevrotica di Smokers outside the Hospital Doors degli Editors, ma senza raggiungere i livelli lirici di Tom Smith: non che ai Rakes interessi veramente, come dimostra la parte centrale del brano in cui i 4 si lasciano andare a soluzioni più clownesche. Il basso pulsante della new wave fa affiorare le sua sagoma in Bitchin’in the kitchin’dove i Rakes non sembrano più loro ma sia avvicinano alle forme mutanti che hanno assunto i Maximo Park negli ultimi mesi.
Sembra quasi di ascoltare una enciclopedia britannica delle ultime band insulari del decennio mettendo su Klang, e non è certamente un dispiacere. I punti di contatto tra tutte queste band della nuova ondata britannica vengono svelati agli occhi di tutti in questo album dei Rakes: The Woes of the working woman fa fare la sua sporca figura anche alle tastiere di Chris Ketley tra i momenti più incisivi dell’album con chitarre finali che sembrano violini appuntiti. Il singolone 1989 prende le mosse dall’anno della caduta del muro, e le soluzioni corali non possono non essere cantate: eccoli i veri Rakes, che omaggiano Berlino e la sua storia divisa con una hit da urlo. Shackleton apre squarci di paesaggi bucolici prima di affettarli con una lama a sei corde, mentre Donohoe nella parte finale gioca a fare Ian Curtis. The light from your Mac invece è un pezzo azzeccatissimo, spensierato al punto giusto e ritmato alla grande dal basso pulsante di Jamie Hornsmith. L’album si chiude con Muller’s Ratchet, ancora accompagnata dal piano e da una chitarra non elettrica, ma elettrizzata, quasi shoegaze in pochi frangenti; ed una precipitosa The Final Hill, mentre per chi acquista l’album su Itunes in omaggio anche il singolo Demons.
Tirando le fila sicuramente non un album da buttare, anzi i Rakes dimostrano di aver saputo invertire la rotta dopo Ten New Messages. Se vi capita vi consiglierei pure di andarli a vedere. Gira voce che scendano in Italia nei prossimi mesi, e penso che sarebbe sicuramente un peccato perderli. E non solo per Klang (finalmente una bella front cover!)

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