“This is rock’n’roll radio. Cmon’let’s rock’n’roll with the Ramones”. Era il 1979 e queste parole introducevano il mirabile End of the century. Ma potrebbero benissimo introdurre il nuovo lavoro dei Black Lips, uscito quest’anno per Vice. All’ascolto Arabia Mountain sembra quasi pensato come un omaggio a quell’epoca, sia dal punto di vista musicale che da quello della produzione. La spensieratezza di brani come Spidey’s Curse, Raw Meat e Mr. Driver ci riporta all’epoca di Baby I Love You o Danny Says, così come le chitarre, così pulite come mai si erano sentite in un album dei Black Lips. Se ci aggiungiamo anche la presenza di sassofoni disseminati lungo l’album (nell’iniziale Family Tree, ma anche nell’azzeccatissima Mad dog) l’operazione vintage sembra conclusa. Con la supervisione di Lockett Pundt dei Deerhunter e di Mark Ronson. Che di sicuro non sono Phil Spector, ma il loro sporco lavoro lo sanno pur fare. Dilatando la ricerca delle radici di una band che già nell’ordine delle cose sembra esservi propensa. E che trova nella perfezione dei tempi di Bicentennial Man la conferma del proprio valore. Lasciandosi giustamente andare al flower punk per cui sono meritatamente conosciuti in pezzi più tirati come Modern Art, oppure il singolone Go Out and Get It o la tiratissima New Direction. Con i titoli di questi ultimi pezzi a voler dare quasi un segnale, una interpretazione di questi tempi così pazzi. Un incitamento all’azione, ad andare a prendersi le cose, a cercare nuove direzione verso le quali guardare. Mentre il tempo continua a scorrere (Time), i Black Lips si muovono e si arrampicano sulla montagna Arabia fino a tirare fuori dal cilindro pezzi formidabili come Bone Morrow. Trovando in cima quello che tutti cercano ma spesso nessuno trova, ovvero quel rock’n’roll che vorresti non finisse mai. Nonostante la fine del secolo e l’inizio di un nuovo millennio bastano sempre due chitarre, un basso ed una batteria e tanta, tanta voglia di divertirsi. E quella ai Black Lips non manca di certo.
set 17
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