A pochi giorni dall’annuncio della fine di un avventura musicale lunghissima, abbiamo deciso di ricordare i R.E.M. con alcune parole di omaggio. In ognuno di noi la musica del gruppo di Athens ha lasciato emozioni, ricordi, tracce indelebili che il passare del tempo non ha cancellato nemmeno per un pò. Dagli esordi ad i capolavori, fino ai successi commerciali, i R.E.M. hanno un posto rilevante nell’immaginario collettivo dei nostri anni. Fino ad impersonificare un’epoca che non ci sta più ed a cui qualcuno di noi sicuramente guarda con malcelata nostalgia.
Ho scoperto i R.E.M. non solo ben oltre la loro nascita ma anche un po’ dopo il loro successo mondiale, diciamo ai tempi di Monster. Da lì in poi avrei sempre teso l’orecchio verso la produzione presente e passata dei 4 (poi 3) di Athens. Un ascolto di testa, più che di cuore, discontinuo ma sempre curioso.
Ora che la storia si chiude ed è lecito guardare la carriera dei R.E.M. nella sua interezza e con un qualche distacco, sono finalmente riuscito a capire cos’è che gli ha fatto guadagnare negli anni il mio rispetto di ascoltatore e persino la mia simpatia: i R.E.M. per me sono sempre stati una band “piccola”.
Non fraintendetemi: non sono un’oltranzista dell’alternativo (a cosa?) e indipendente (da cosa?) a tutti costi. Inoltre Stipe e soci non saranno stati una band grande ma di sicuro sono stati un grande band, con uno stile preciso e identificabile, un canzoniere ricco e pieno di episodi che potremmo definire “classici” senza offendere nessuno.
Quello che piaceva a me era che il Successo fosse arrivato come un incidente e che loro se ne curassero il giusto. Non so se per merito o per incapacità ma i R.E.M. non sono mai diventati dei dinosauri del rock. Per quanto a pieno diritto nel mainstream pop, i R.E.M. hanno sempre costellato la loro produzione di sperimentazioni, di curiosità.
Questo m’è rimasto dei R.E.M. Questo, un bel po’ di dischi che ho tutto il tempo per riscoprire in ritardo e la semplice ma preziosa nozione che quando sogniamo, muoviamo velocemente gli occhi.
Alessandro Sfasciotti
I R.E.M. sono stati i precursori dell’alternative rock con il loro stile post punk abbinato a una solida formazione rock/folk. Indimenticabile la loro Everybody hurts che ha sciolto e commosso i cuori di tanti ascoltatori che insieme a Losing my Religion ha reso Michael Stipe un rispettabile autore (principale dei R.E.M.) che trasportava in parole dolori e gioie, quelle di un artista completo ( produttore cinematografico Essere John Malkovich e musicale, fotografo e appassionato di arte ).
Grande era l’ impatto visivo dei R.E.M. che si donavano al loro pubblico regalando momenti di gioia, carica (Bad Day) e grande malinconia che accompagnava le riflessioni di Stipe.
Rimarrà indelebile il carisma di un gruppo che ha cantato la pace nel mondo e la difficoltà di vivere in un mondo non più a “misura di uomo”.
Alessio Nocente
In un tramonto setttembrino, fresco, di fine estate, il sole era quasi del tutto calato sul molo e la laguna di Grado. I pochi turisti che si erano attardati sulla battigia e sul camminamento in cemento che si protraeva verso il mare, erano rincasati ai loro appartamenti ed i loro hotel. Solo alcune coppiette, qualche nostalgico e qualche cane, resistevano all’imbrunire, allo spegnersi del sole ed all’accendersi dei lumi delle navi all’orizzonte. In fondo, per quanto bello, era soltanto un altro tramonto.
Forse per questo, per quell’inattesa quanto opportuna nota in RE, anche il mio rincasare venne bloccato. L’orecchio si destò ed ancorò lì tutto il corpo: sospeso, per un attimo, nello stupore di quell’improvvisa nota di chitarra acustica. Everybody hurts si librò nell’aria dalle corde di una lisa chitarra acustica e dalla voce di un signore magro, di mezz’età, comparso dal nulla e sospeso anch’esso su quel molo.
La pelle d’oca, non era per la brezza di mare che saliva verso terra. Ed oggi penso che quella canzone, quello sprono a resistere anche nei momenti di tristezza (“hold on – hold on”), quella compostezza e classe compositiva, sono tutti così consoni al modo posato e malinconico col quale Michael, Peter, e Mike, hanno annunciato il loro scioglimento. Hanno lasciato prima di diventare gli ennesimi dinosauri del rock, prima di diventare cover band di loro stessi, prima di perdere lo smalto compositivo, senza litigi miliardari o risse alcoliche. Grazie. Per la pelle d’oca, e tutto il resto.
Federico Rasetti
Era il 1993, io facevo la terza media ed avevo appena ballato il primo lento della mia vita. Lei mi piaceva, le luci si erano spente e, tra un tavolo ormai spoglio di tramezzini e pizzette, ed i divani dove gli altri miei compagni chiacchieravano allegramente, risuonavano le note di Everybody Hurts. L’occasione insomma era imperdibile. Con lei finì male, ma con i R.E.M. iniziò una lunga storia di amore che ha avuto i suoi momenti culminanti nell’ascolto degli album storici, quelli dei primi anni ’90, dove ad Out of Time seguiva immediatamente Automatic for the People e poi addirittura Monster. Roba d’altri tempi: trovatemi una band di oggi capace di un trittico così ed io mi genufletterò davanti a loro come feci davanti a Micheal Stipe, Peter Buck, Bill Berry e Mike Mills. Poi prendemmo strade diverse, io verso il grunge che imperversava durante quegli anni, loro verso i successi commerciali ed una ripetitività che non mi convinceva molto. Ma prima di lasciarci avemmo un’ultima notte di passione con Monster, l’unico punto di congiunzione tra ciò che io volevo essere e ciò che loro si apprestavano a fare. Ricordo ancora l’intervista a Stipe in cui ricordava con emozione la scomparsa nel giro di pochi mesi di due icone degli anni ’90 come Kurt Cobain e River Phoenix e di come in quel disco si sforzasse di esorcizzare quei tempi così tristi. E ricordo ancora le volte in cui la mattina presto, prima di andare a scuola, verso le 7:30 mi assorbivo con le cuffie nell’ascolto di Crush with eyeliner, Star 69 e Bang and Blame, cercando la carica per voltare finalmente pagina e tornare a vivere. In ricordo di quei tempi ormai lontani ed in ricordo di una band che cantava la vita.
Umberto Profazio
1 commento
traslochi internazionali
28 settembre 2011 a 18:30 (UTC 1)
Out of time fu il primo 33 giri che acquistai, ma conoscevo già le produzioni dei REM precedenti e non ho mai smesso di seguirli. Ho il grande rammarico di non aver assistito a una performance live… spero che quello che dicono, che probabilmente ci sarà il tour dell’addio, sia vero: almeno potrò finalmente vederli.