Che una giornata iniziata in maniera formidabile e del tutto inaspettata si concluda con un mega concertone della madonna non è una cosa scontata. Ma quella del 5 giugno 2009 resterà una delle giornate più strane e delle serate più belle della mia vita. Iniziata con un incontro fortuito ad una conferenza sulle elezioni iraniane che avrebbero in seguito causato tante sciagure dalle parti di Teheran, un pomeriggio fantastico ed una serata al Pigneto che avrebbe potuto concludersi ancora meglio, se non fosse per preferenze diverse. Ma forse è stato meglio così perché quando la musica chiama io non riesco a resistere. Ed il richiamo del vicino Init è troppo forte stasera, scappo a piedi verso il locale dove stasera suonerà un gruppo americano dal nome buffo e coinvolgente: Akron/Family.Non posso mica perdermi una band che sul suo space alla voce band members scrive “all of us and sometimes you”…All of us sono Dana Janssen, Seth Olinsky e Miles Seaton ed hanno appena perso un componente della band, Ryan Vanderhoof che ha mollato il gruppo due annetti fa per vivere in una comune buddista del Midwest. Capito no? Mica pizza e fichi. Ma hanno appena rilasciato un discone che meriterebbe più delle 5 faccine che solitamente usiamo su Musicboom. Set’em Wild, Set’em Free è infatti una meraviglia di suoni e di colori che variano dal freak country, al rock sperimentale, dal folk più estremo agli assaggi psichedelici più gustosi. “Che è questo country psichedelico?”mi chiese Dedo subito dopo averli ascoltati per la prima volta. Una definizione un po’ stretta ma che può andare bene per spiegare come lo show dell’Init abbia per il momento tutte le potenzialità per essere il concerto dell’anno.
Dal vivo gli Akron/Family riescono a catturare l’attenzione del pubblico con improvvisazioni singolari, suoni fluttuanti nell’acido, un ritmo sostenuto ed una maestria totale nell’uso degli strumenti: i ruoli si confondono e chi per un pezzo suona la chitarra passa subito dopo al basso od alla batteria. Insomma tutti suonano tutto, senza alcun problema di sorta. Il repertorio è abbastanza vasto per un gruppo in attività del 2002 e gli Akron pescano dall’esordio omonimo e dallo split con gli ancora più lisergici Angels of Light di Micheal Gira, che li scoprì e li cooptò per la sua Young God Records, entrambi del 2005, da Meek Warrior del 2006, dal Phenomena (le) Love Is Simple del 2007: disco che si staglia però in tutta la sua importanza nella discografia degli Akron con pezzi come la caricatissima Ed Is A Portal, la zuccherosa Don’t Be Afraid, You’re Already Dead, il freak folk di I’Ve Got Some Friends, la paranoica There’s So Many Colors, ed in più Phenomena, uno dei primi pezzi del live di stasera, ed Of All The Things, sorta di Yellow Submarine in salsa irlandese suonata da immigrati del trifoglio a Boston. Per Set’em Wild, Set’em Free vale più o meno lo stesso discorso dei dischi precedenti, tranne per il fatto che la label adesso è la frizzante Dead Oceans e che superare Love Is Simple diventa forse una impresa impossibile. Ma vediamo un po’ come se la cavano nel complesso i tre di NYC.
Pezzi tra i 3 ed i 7 minuti, caleidoscopici suoni e prove muscolari che si incrociano lungo le striscie bianche e rosse della bandiera americana della cover. Solo che al posto delle stelle abbiamo una pupilla? Risposta affermativa per le parti introspettive come River, dove l’occhio penetra in profondità, oppure in They Will Appear, dove l’accoppiata bucolica e quella psicadelica si fermano davanti ad un falò di suoni nelle campagne della Pennsylvania. Mancano solo Peter Fonda, Dennis Hopper e Jack Nicholson ed il quadro lisergico è completo. Oppure dentro la bandiera abbiamo una esplosione? Risposta affermativa come nell’iniziale Everyone Is Guilty, a coralità sincopata e progressiva, oppure nella roboante MBF, esempio experimental rock della ecletticità di un gruppo totale che non disdegna la possibilità di rasentare l’universo noise. Capace di giocare con suoni elettronici come in Creatures, col country nel romantico quadro di The Alps & Their Orange Evergreen o di Set’em Free. Oppure deflagrante come nell’episodio floydiano di Gravelly Mountains of The Moon, dove Barret si ferma in una fattoria del West per un assagio di classica torta alle mele. Una considerazione a parte merita The Sun Will Shine (Warmth Of The Sunship Version): Questo pezzo contiene qualcosa di magico che contagia immediatamente il pubblico, l’ascoltatore, la dolcezza infinita dagli accordi, un sottile violino, un brivido che ti scorre dentro e non ti farà più nascondere dalla luce che sembra quasi ti chiami a sé.
Non vedo neanche il bis, vado direttamente al banchetto a comprarmi la maglietta: The Sun Will Shine and I Won’t Hide. Non mi nasconderò più nemmeno io, ed anzi, non mi nascondo nemmeno a Voi: per me è già il disco dell’anno. Qualcun altro pretendente in giro???
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