Già da qualche mese si sentiva parlare di questo Reverb Festival, e l’impressione era quella che potesse rappresentare l’arrivo in una piccola città come Ferrara di un qualcosa di più metropolitano, un approccio a musica ed arte visuale che nelle grandi città si è già abituati a vedere e sentire. La cornice è quella magica del cortile del Castello Estense, utilizzata prima d’ora solo per i concerti “minori” (solo per questioni di capacità) dell’annuale kermesse di Ferrara Sotto Le Stelle, e questa scelta dà già tanta credibilità al lavoro di Paolo e Francesco, i due ventitreenni organizzatori di questo appuntamento. Le promesse sono quindi buone.
Mi appropinquo poco prima delle 20 sul ponte levatoio dell’ingresso del Castello, saluto un paio di amici e ricevo la telefonata che mi propone di andare al Gods Of Metal il giorno successivo, declino a causa del pranzo coi genitori e mi avvio all’interno del cortile; al momento ci sono ancora pochi avventori, ma il suono dei KGB Mafia è già ad alto regime. Il sole è ancora altino, c’è ancora abbastanza luce ad illuminare il cortile (le videoproiezioni infatti sono ancora appena accennate), ma il live di questo giovane duo milanese è piuttosto scuro: sonorità cupe e decise, cassa in quattro ogni tanto spezzata che genera un bel altalenarsi di ritmo, voci che appaiono e scompaiono come fantasmi medievali. Iniziano ad arrivare parecchi giovani, look contemporaneo e sicurezza nelle loro espressioni, fare sbarazzino e voglia di divertirsi nonostante gli outfit molto poco colorati (ma forse sono semplicemente io a sentirmi molto fuori luogo). La luce naturale del sole inizia a spegnersi per far spazio ai visuals che timidamente fanno la loro comparsa sulla parete alle spalle del palco (che per una prossima edizione, potrebbe anche essere alzato un pò per permettere ai vari artisti di emergere maggiormente sul pubblico); è il turno di Go Dugong, personalmente la più bella sorpresa di questo festival. Il djset che propone suona freschissimo, un frullato di beat hiphop con estratti elettronici ed inserti raggamuffin, una ricerca musicale eccellente e cosmopolita, brani con cantati di cui non capisco l’idioma (e solo in alcuni casi intuisco parole in italiano), insomma la svolta danzereccia per gli avventori del festival. Un’oretta che mi stampa il sorriso sulle labbra e mi fa fare qualche passettino di danza, prima dell’arrivo di Dj Khalab che in pochissimo tempo spedisce tutta l’audience all’interno dell’Africa più cupa: una miscela di beat tribali e voci sciamane, a sprigionare un’energia quasi ancestrale che a dire il vero cozza un po’ con le mura che ospitano il festival, quasi come se gli Estensi venissero attaccati da un gruppo di Chimbu. Ad ogni modo, è forse voluto questo anacronismo, supportato dai visuals che accompagnano le danze tribali, visuals a tratti un pò monotoni o non particolarmente innovativi ma che di sicuro impreziosiscono l’evento e non intaccano l’austerità delle mura interne del Castello. Chiude la rassegna il back to back degli Eternal Entropy e Natlek, padroni di casa e sicuri di loro stessi con il giusto proseguimento del mood che finora gli ospiti erano riusciti a creare: sapiente oscillare di elettronica in quattro quarti intersecato ad appoggi più morbidi, si riconosce un po’ lo zampino di uno (Eternal Entropy sicuramente più vicini ad un mondo house) piuttosto che dell’altro (Natlek decisamente più orientato alle moderne sperimentazioni). Il risultato sono più di 4 ore di musica non banale, innovativa ed apprezzata dai tanti intervenuti, una novità contemporanea per la città estense, un esperimento assolutamente ben riuscito, creato dal basso e dalla passione, dall’interesse alla sperimentazione, dalla volontà di affermare che alcuni orizzonti artistici si possono ancora aprire.
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