Dopo un’estenuante giornata lavorativa, la voglia di trascorrere un paio d’ore in piedi ad ascoltare roba che non conosco, a dirla tutta, non è davvero tanta. Quindi un po’ stanco esco dal parcheggio, mi accorgo di non aver l’accendino (eppure ero proprio sicuro di averlo messo nello zaino), e mi avvio verso il Castello Estense, incontrando anche un corteo della Lega Nord che schivo a passo spedito. Mi accingo quindi ad assistere ad un concerto di un artista a me completamente sconosciuto, e decido (forse un po’ più per comodo che per esperimento) di non informarmi assolutamente a riguardo ma di scoprire questo artista proprio durante il suo live, in questa seconda data di Ferrara Sotto le Stelle. Glen Hansard è preceduto da un duo folkettino che fi a chiamare The Lost Brothers; il loro look è proprio come me l’aspettavo, nerd al punto giusto, chitarra acustica ed un po’ brutta copia dei Kings Of Convenience. Nonostante oltre alle voci (molto soavi c’è da dire la verità) e alle chitarre, solo l’armonica a bocca crea un diversivo, i brani che propongono questo duo sono davvero gradevoli, complice il tramonto che si consuma all’interno della location, creando un gioco di luci davvero suggestivo. Uno dei due confessa in un italiano abbastanza buono di aver abitato per qualche anno a Napoli, ed ecco che scatta la dedica a Pino Daniele con un blues di Jimmy Reed che conquista il pubblico che un po’ alla volta sta aumentando.
Dopo il warm-up dei Lost Brothers, è il turno della main act, ed il palco si riempie con una piccola orchestra: tre archi, tre fiati, basso e batteria per la parte ritmica e una chitarra a lato, fanno spazio per Glen che apre il concerto cantando il primo brano senza l’uso del microfono, e con questo espediente conquista già la mia attenzione. Conosco così una voce nuova, calda ed intrigante, potentissima, che riecheggia all’interno del cortile del castello in maniera maestosa, una presentazione davvero fantastica. Parte così un concerto meraviglioso, emozionante, una delle più belle scoperte che potessi fare. Glen è un frontman non da poco, parlottando con alcuni amici scopro che è premio Oscar, attore, ma la sua dimensione musicale è ciò che mi conquista, una dimensione che trasuda Irlanda ma con un’apertura diversa, non radicata a pieno, è l’Irlanda di Glen. Lo dimostrano gli accenni di cover, come Ring Of Fire di Johnny Cash, Respect di Aretha Franklin, e verso fine concerto, Where Is My Mind dei Pixies. Glen è simpatico, fa cantare il pubblico, con un inglese comprensibilissimo ci descrive la genesi di alcuni suoi brani, li dedica a tanti amici ed amiche, ci racconta alcuni tratti della sua filosofia, come il fatto che ci siano periodi nella vita di ogni uomo durante i quali assumere qualche droga ed affrontare periodi bui per poi uscirne più saggi siano parte del percorso vitale, così come l’idea che sbronzarsi di giorno porti poi ad essere sbronzi per tre giorni interi, durante i quali si possono commettere alcuni errori se un uomo è molto amico con una donna. Grazie a queste chiacchere, riesco a capire anche un po’ la dimensione dei testi di questo cantautore, e ne percepisco la poesia, che si mescola davvero perfettamente con la musica, creando una magia unica, emozionante, a tratti davvero da pelledoca. Lo spettacolo è allegerito ad un certo punto da quello che io percepisco chiamarsi “Canarino” (ma che solo durante la stesura di questa recensione scopro essere Caterino), uno strano personaggio chiamato sul palco da Glen per suonare con una specie di coppia di bacchette una sorta di bustino di metallo, una specie di canotta-grattugia. La poesia riprende quando dedica un pezzo a “Little Marta”, quasi sicuramente una bimba che sta dormendo, e allora stacca la sgangherata chitarra acustica e esegue il pezzo completamente unplugged. C’è il ritorno sul palco del duo di apertura che in maniera un pò paracula e nazionalpopolare si ripresenta con Bella Ciao, prima di eseguire un brano che mi pare cover di Bob Dylan. Alcuni poi dal fondo intonano quello che per me ignorantemente sembra l’inno irlandese ma che invece è The Auld Triangle ed ecco che tutta la band si mette in fila e a canone canta l’inno. Insomma un concerto ricco, sarò ripetitivo ma davvero emozionante, un concerto dal quale si esce e ci si sente bene, in pace col mondo, arricchiti spiritualmente; ed anche se sulla via di casa mi accorgo che l’accendino era rimasto in macchina, non me la prendo con me stesso, ed anzi son contento di aver conosciuto la musica di Glen, e lo ringrazio per l’approccio che ha con la musica, con il suo modo di fare elegante e rispettoso, con la sua voglia di comunicare, col suo essere artista a tutto tondo. Ferrara è lieta di averti ospitato, e spero di rivederti presto.
un grazie speciale come sempre a Sara Tosi per il contributo fotografico.
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