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apr 08

Black Lips – 200 million thousand

Io adoro i Black Lips. Qualsiasi cosa facciano, non facciano, suonino o devastino i li amo. Colpa di una maledetta sera di settembre in quel di Washington, District of Columbia, dove mi ero appena stabilito, o meglio non stabilito, visto che non avevamo trovato casa e stavamo ancora girovagando per alberghi vari. Oddio, poi infine la mia casa l’avevo trovata quando sono riuscito a scovare il Black Cat, uno dei migliori locali americani, roba seria, con concertoni assurdi tutte le sere e Sierra Nevada a profusione. Ed il mio esordio in quel locale avvenne proprio la sera in cui suonarono i Black Lips. In giro per la presentazione di Good Bad, Not Evil, si dannarono l’anima sul palco come pochi, scatenando l’inferno, o meglio l’uragano, durante O Katrina
Sono passati due anni da allora, due lunghi anni, e molte cose sono cambiate. Io non sto più a Washington, ma ci penso sempre, si sa la vita va avanti e le cose cambiano. Loro no. I Black Lips continuano a sfornare album micidiali ad ogni passo che muovono, e crescono esponenzialmente: come dimostra il loro ultimo lavoro, 200 Million Thousand, uscito quest’anno per la Vice Records. Un concentrato di forza ed energia diabolica ad alta intensità noise, ma sempre con quelle striature blues che fanno tanto figo per un gruppo del genere. Take My Heart ci indica subito la via da prendere, con un cantato sbilenco da dropout di Cole Alexander (anche chitarra) che ti fa subito innamorare e le chitarrine garage dello stesso Cole Alexander ed Ian Saint Pe: Joe Bridley alla batteria conclude la formazione degnamente.
Drugs invece ti sbatte in faccia la realtà casinista dei Balck Lips, mentre con Starting Over si inizia a fare sul serio dopo l’antipasto: Homer Simpson decide di rockeggiare dopo essersi lasciato con Marge, aver perso il lavoro e la strada di casa. Finisce da Boe a bere birra Duff mentre il juke box rantola ed ogni tanto strilla “I’m starting over”. Let It Grow psicadelizza un po’ la situazione, con una cura del suono che sembra sempre fatta in una cassetta degli attrezzi di qualche meccanico fuori città mentre Trapped in a Basement è dedicata a Josef Fritzl, il maniaco omicida di Vienna che ha segregato la figlia in casa per 24 anni avendo diversi rapporti incestuosi ed un totale di 7 figli: i Black Lips, come in O Katrina, vivono il presente e lo raccontano senza patemi d’animo o spirito caritatevole, ma sbattendotelo in faccia come fanno quotidianamente le tv (molto meglio delle onde catodiche però).
Short Fuse è in grado di far brivare il pavimento di casa, pezzo anni’60 stravolto dopo essere stato a contatto con un forte fonte di calore, ed il risultato è delizioso, con un effetto vortice-risucchio durante il pezzo che non c’entra nulla, ma proprio per questo è fenomenale. I’ll be with you è il lento della scuola rivisto dagli urlacci di Cole e poi si passa al Big Black Baby Jesus Of Today: ovvero Mr.Obama. I Black Lips prendono per il culo tutto e tutti, compreso il Mr.President novello messia in cerca di una missione. Again & Again spezza il sortilegio con un’elettrizzante cavalcata verso il ritornello, che ti timbrano in mente mentre ondeggi verso la follia spastica di questi quattro dementi di Atlanta. Fenomenale. Musica fatta sul momento, senza pensare, senza secondi fini, fai solo quello che ti senti, fatti guidare dal karma. Old Man si inietta lisergicamente nella track list come un pezzo sixtiees arrabbiato, da cane randagio che si scontra con i suoi per le prime volte, mentre The Drop I Hold, in cui canta anche il mitico King Khan, sembra una presa per il culo hip hop del mondo musicale internettizzato in cui i Black Lips fanno verso a sé stessi ed al loro sito in arabo (?). Body Combat sembra uscita dai White Stripes prima di essere passata al frullatore da Joe & soci, mentre la sincopata Elijah rientra nella categoria “pazzie” senza senso del gruppo. Si finisce con I Saw God, folle presa per il culo della mentalità puritana radicata negli States: traccia fantasma ma non troppo ecco Meltdown, con un favoloso finale in cui si mixano Osama ad Obama che scopano il Dalai Lama. Cosa volete di più da un gruppo, dico io??? Come??? Meno parolacce e più buoni sentimenti??? Ma andate a comprarvi i dischi di Bono allora, o di qualche altro artista o presunto tale che piace alla bella gente là fuori. Noi, arrendevoli bad-asses, schifati dalla vostra vita mondana, continueremo a prendervi per il culo ed un giorno, grazie ai pezzi dei Black Lips conquisteremo il mondo.

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