Mercoledì 19 luglio 2017, la data in cui devo ricredermi, la data in cui devo fare un passo indietro e rivedere ciò che penso su Le Luci Della Centrale Elettrica. Questa volta non posso fare il pirla come tre anni fa, quando forse più per esercizio stilistico ho recensito il suo live a Ferrara Sotto Le Stelle come se io stesso stessi scrivendo una sua canzone (però l’esperimento fu bello), questa volta Vasco mi mette alle strette e mi colpisce all’interno, non mi obbliga ma mi stimola a scriver molto bene di lui. Ma procediamo con ordine.
In una giornata in cui una delle poche (se non l’unica) gioie è cenare al volo al Mc Donald’s e riscoprire il gusto gommoso ed ipnotico del doppio cheeseburger (questa volta con aggiunta di bacon), mi appropinquo deciso verso il centro di Ferrara, deciso ma al tempo stesso decisamente rincoglionito e spossato, che nemmeno quel nutrimento che mi ha regalato quell’attimo di felicità è riuscito però a rinvigorirmi. Il sole è ancora abbastanza alto, mi ricopro le caviglie di Autan protettivo (rigorosamente tropical) e varco l’ingresso sul ponte levatoio del Castello Estense, dove ad attendermi c’è la mia fida accreditatrice che spalancando gli occhi mi redarguisce per essere arrivato prestissimo. In effetti all’interno c’è silenzio ed una quarantina di persone accampate, sedute ai piedi del palco in attesa. Inganno il tempo curiosando su internet, e scopro che in effetti a questo giro i concerti iniziano alle nove e mezza, ma nel frattempo la gente più sveglia di me inizia ad arrivare all’ora giusta. Poco dopo infatti sale sul palco Colombre, opening act confermato un po’ all’ultimo ma davvero una gradevole scoperta: è un personaggio strano, un calimero cantautorale, mi ricorda i Selton ma senza il Brasile, è emozionato ma sicuro di sè, e d’altronde penso che ci voglia coraggio e sicurezza per salire sul palco solo in compagnia di una chitarra, a cantare le tue canzoni. Molto belle tra l’altro, mi colpiscono per la loro schiettezza e semplicità, i temi trattati sono contemporanei, si passa da venature romantiche, ad accompagnamenti più funky, senza trascurare anche aspetti delicati (il brano TSO è eccezionale), il tutto cosparso da un neanche troppo lieve pessimismo che va abbastanza di moda (e come biasimarlo?). Colombre mi piace, ma ascoltarlo mi fa andare oltre con la mente, e lo penso accompagnato da una band, forse avrebbe più forza, sarebbe anche potenzialmente più radiofonico, ma probabilmente è una scelta appositamente non voluta, o forse deve semplicemente crescere artisticamente. Crescita che ha fatto il nostro Vasco Brondi: nostro perchè è di Ferrara, e stasera gioca in casa; crescita perchè anche lui è partito con chitarra e voce, ed ora si trova sul palco di casa sua accompagnato da una band vera e propria (ed anche il suo ultimo lavoro discografico è testimone di una nuova dimensione musicale in cui gli strumenti hanno preso una posizione fondamentale che conferma la ricerca di una nuova cifra stilistica). Band con le movenze di una boyband, che cozza un po’ con la presenza scenica perennemente ciondolante del barbuto Vasco, band che però supporta molto molto bene sia i brani di Terra, che quelli dei precedenti album, riarrangiati a dovere. Devo quindi buttar via il pregiudizio iniziale che finora mi ha condizionato, e nonostante alla prima impressione penso che i brani classici “chitarra+voce” non funzionino alla perfezione, mi devo ricredere canzone dopo canzone perchè vengo coinvolto, ed arrivo alla conclusione che se dovesse ripubblicare questi brani così riarrangiati, li comprerei pure. Insomma, la forma canzone “brondiana” prende un’altra piega nella dimensione live, una piega che è coinvolgente e completa: in qualche brano si balla e si battono le mani a tempo, si canta a coro come Nel Profondo Veneto a chiusura concerto, in alcuni si poga nelle prime file a tal punto che i giganti della security minacciano di intervenire, in altri ci si commuove sul serio come una ragazza vicino alla postazione del fonico. Vasco mi è diventato più simpatico (o forse lo era anche prima, ma non ho saputo cogliere) anche negli intermezzi tra un brano e l’altro, dove racconta un po’ di aneddoti sulla sua città, che in questa occasione lo ospita (mi chiedevo infatti raggiungendo piazza Castello, se sarebbe venuto in bici o cosa… poi è lui stesso a dire che è venuto addirittura a piedi), di quando scriveva le canzoni fino alle 18 prima di andare a lavorare come barista al Korova (e poi esegue Piromani, forse un po’ il suo cavallo di battaglia), di come spendere 10 milioni di vecchie lire per acquistare un pianoforte come ha fatto Alda Merini, di come ci si debba sentire fortunati a crescere in un posto dove ci si annoia tantissimo (e come dargli torto); ed è proprio questa la chiave di lettura che forse non ho mai notato, che mi fa stravolgere l’opinione, che mi rende interessanti anche quelle vecchie canzoni in cui io percepivo solo un agglomerato di parole “ad-cazzum” selezionate accuratamente perchè suonano bene messe una dopo l’altra, che mi rende piacevolissimi i brani del nuovo album, che mi fa apprezzare tutto l’insieme e che mi fa augurare una lunga carriera ed una continua crescita a questo ferrarese che nel suo piccolo/grande, è riuscito a svoltare. Bravo Vasco, mi hai fatto ricredere.
Grazie a Sara Tosi per il supporto fotografico.
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