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apr 08

Stoned hand of doom 2009

Il sapore della strada. Polveri sottili e catrame, il terreno duro su cui poggiare i piedi. E’da tanto che non assaggio l’urbanità, una distorsione alla caviglia mi ha impedito per un po’ di sfrecciare tra le sagome che compongono la mia vita quotidiana, come cartoni da palcoscenico. Ma è in arrivo qualcosa di impedibile anche per la mia povera gamba ancora indolenzita: Stoned Hand of Doom è l’appuntamento ideale per saggiare le potenzialità in ripresa dei legamenti, l’attitudine al rumore delle mie membrane acustiche e il mio spirito assetato.
Perciò venerdì 15 maggio mi dirigo verso l’alcova di questa manifestazioni, ossia il Sinister Noise: aprono i Misty Mornings, piacevole conoscenze di questa stagione. Riesco a vedere un paio di pezzi, con un sostituto batterista ma senza la tanto agognata Jellotron (non so se si scrive così, in caso perdonatemi). Dedo sta in Giappone a spupazzarsi le nipponiche. Fa bene, farei pure io così al suo posto. Sol levante, ma qui a ponente i suoi colleghi ci vanno giù duro con loro impianto sabbathiano ad esaltare i presenti. Saluti e baci, sono contento di vederli, dopo tanto tempo passato in soffitta con i miei lego a ricostruire la mia sanità mentale: mi è uscita una gru, le sue manovre mi portano sul palco gli Skywise, trio romano cappellato (nel senso che portano il cappello, non fate subito gli erotomani maliziosi) che portano un po’ di sano stoner desertico da queste parti. Molto bravi, mi piace ascoltarli e resto seduto a sentirli tutto il tempo della loro esibizione. Divanetto comodo, a fianco a me ci stanno tre ragazze con le loro magliettine rosse e la scritta del gruppo che si sta esibendo. Merchandising, advertising, bad moon rising. A proposito di rising, mi alzo a prendere una birra ed accompagno i Misty ad autoalimentarsi dopo l’esibizione, a fumarsi ed a caffeinizzarsi. Io non bevo caffè: di sera. Sento solo che Luca deve prestare la chitarra ad un membro dei Black Land che ha problemi giù e non riescono a finire l’ultimo pezzo.
Appena riscendo è la volta dei Radio Moscow: Iowa, ragazzo, uno staterello con una manciata di città e qualche paesino da cui provengono Parker Griggs (voce e chitarra), Zach Anderson (basso) e Cory Berry (batteria). Due album fenomenali, il primo omonimo uscito nel 2007 per la Alive Natural Sound grazie alla collaborazione ed all’interessamento di Dan Auerbach dei Black Keys. L’altro giorno ho regalato il primo disco da solista di Dan a mia cugina per il suo compleanno. A cena con i miei zii era impaziente di ascoltarlo e così abbiamo cenato a base di pasta zucchine & blues rock; eccellente pasto e sound magnifico ma non so quanto salutare con quei bassi così pompati che mi risuonavano nello stomaco intento a digerire. La mente ha apprezzato tanto però. Così come ha apprezzato tantissimo il nuovo album dei Radio Moscow, dal titolo, non a caso di Brain Cycles: quanto di più necessario ci sia di ascoltabile in questo momento.
Torridi precipizi psicadelici, devastanti accelerazioni seventies, i riff con retrogusto di Tony Iommi da assaporare lentamente e non ingerire (in caso di assunzione incidentale chiamare il medico più vicino nel giro di 60 miglia): dal look mi ricordano vagamente i Datsuns, il suono mi dà conferma ed una aggiunta. Mezzo etto di Black Keys tagliati a fettine sottili sottili. Cory sembra un ragazzino, ma picchia sulle pelli più con i nervi che con i muscoli: un fascio di nervi che si abbatte sulle bacchette senza tregua. Zach sembra il più scazzato stasera, mentre Parker ci va giù con assoli e riffoni, il pubblico sembra gradire notevolmente tanto che chiede il bis rimandando indietro il plettrato chitarrista al grido “ma tanto dove devi andare? mica vai a dormire adesso”. Sembrava un po’ stanchino Zach, ma il bis ce lo siamo meritati, e così loro si meritano l’acquisto dell’omonimo di due anni fa.
Ritronato a casa mi rendo conto di aver un braccialetto giallo che mi dà l’ingresso alla giornata di sabato. Non riesco a levarlo, non vorrei romperlo e spingo un po’ ma non si apre. Vabbè, ci dormirò insieme, mi terrà compagnia mentra la mia mente rielabora maldestramente i ricordi del giorno precedente. Non molti per la verità. Il giorno dopo Valerio mi aveva avvisato che gli show sarebbero iniziati alle 16, non ci credo, ma vabbè, mi avvio verso l’Init dove si terrà la seconda parte del week end conclusivo. Ritrovo i Misty Morning e con Luca diamo un occhiata allo show dei Sesta Marconi. Anche di loro abbiamo già parlato nelle puntate precedenti: Campobasso si avvicina pericolosamente a Camposanto, e l’immaginario metal ne gode. Anche i Sesta ne godono alla grande. Sigaretta ed occhiata ai banchetti: molto merchandising. Noi ci allontaniamo un pochino causa campionato. Ognuno ha i suoi vizi ed io ho i miei: meno male che c’è Panucci sennò sarei arrivato più rabbuiato a vedere i White Hills. Che dopo un po’ di prove prendono possesso del palco e della mia anima. Il tutto nel giro di mezzo secondo, giusto il tempo di accendere i motori e dare un’accelerazione lisergica al resto dello SHOD: le corde di Dave W. aprono una voragine di suoni tempestata dal basso di Ego Sensation e dal pulsare della batteria di Bob Bellomo.
Oceans Of Sound devasta il campo sonoro della città di Roma, gli aerei che passano sopra l’Init si trovano risucchiati in una tempesta magnetica. Comandante, la strumentazione di bordo è impazzita. Atterraggio di emergenza sui territori di Glitter Glamour Atrocity dove la velocità del suono potrebbe destinarci verso l’iperspazio kubrickiano oppure sulla pista di Heads On Fire uscito per la Rocketrecordings nel 2007? Comunque vada le vite dei passeggeri saranno nelle mani del più devastante gruppo che questi occhi hanno mai visto. Dave fissa il pubblico e chiede una mossa alle prime file, si smolla come un pazzo sul palco ed il suo strumento diventa ascia di guerra, fontana dei miracoli..
A fine show mi si avvicina un ragazzo che mi chiede chi erano costoro, dopo un paio di minuti lo vedo fare spesa di cd al loro banchetto e farsi un po’ di foto. Dave mi dice che questa è la loro ultima tappa europea e domani si godranno un po’ Roma, le sue meraviglie ed il buon vino rosso dei castelli…che tipo Dave. Sono contento di averli rivisti di nuovo e le mie prime impressioni erano errate: i White Hills non sono fantastici. Sono assolutamente fantastici.
Subito dopo subentrano i Witchfield. Noto solo un batterista tutto vestito di rosso con una maschera nera in faccia. Mi hanno consigliato di vedere i The Heads, ma sono verso l’una di notte, e vado a riposarmi un po’ con alcuni amici sul prato del Circolo, solo che la serata prende una piega più impegnativa di quanto aspettassi. Per le 3 ho bisogno di zuccheri, Cornetto Notte si illumina di immenso ed io mi ritrovo ancora quel braccialetto sul polso. Provo a levarlo. Si scioglie senza nemmeno forzare. L’incantesimo è finito, andate in pace.

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